(Autoproduzione) Capita talora che un disco un po’ ingenuo e datato, proveniente magari da un paese dove si praticano normalmente altri generi, porti una ventata di freschezza e positiva semplicità anche ai recensori più navigati: è quello che succede ascoltando “Fimbulwinter”, secondo disco autoprodotto dei baschi Incursed. Temi rigidamente legati alla mitologia norrena, copertina bathoriana, sound che mescola in diverse proporzioni black, power e folk danzereccio: i clichés ci sono tutti e forse proprio perché sono così tanti il disco funziona bene! Intro sinfonica come nei dischi pagan di 10 anni fa, e anche “Svolder’s Battle” (complice forse anche la produzione dignitosa, ma non stellare) ha quei suoni e quell’atmosfera della prima ondata black/folk, con i tastieroni onnipresenti che disegnano trame relativamente ‘allegre’, sulle quali il growling di Narot Santos, pur se leggero, crea un riuscito contrasto. Incalzante “Ginnungagap”, che arriva a ricordare i vecchi e gloriosi Menhir, mentre “Feisty Blood” e “Nordwaldtaler” spingono sui versanti folk e power, arrivando molto vicine (soprattutto la seconda) ad esiti alla Turisas. “Homeland” nutre invece la componente più epica del sound, “Guardians” quella più black; dopo l’intermezzo alla Korpiklaani “Finnish Polkka” la conclusione è affidata all’acustica alcolica di “Eric the Deaf”. Un disco con diversi limiti che però si fa ascoltare con piacere.

(Renato de Filippis) Voto: 7/10