(Perception) Piet Sielck rinnova la tradizione Iron Savior con il sedicesimo album in carriera. Lo stile della band di Amburgo è abitualmente allocabile tra l’heavy e il power metal e vede una dose di energia e smalto, offerta con la ri-registrazione di sedici pezzi. L’album è la terza e ultima almeno sembra, della serie “Reforged” che si prefissa l’obiettivo di riprendere canzoni pubblicate durante gli anni della band con la Noise Records. Dietro a questa iniziativa, c’è la volontà da parte dei Saviors di sopperire all’assenza sul mercato di nuove copie degli album del catalogo Noise. Inoltre dalla stessa band filtra un muro contro muro tra la propria richiesta di rimasterizzare i suddetti lavori e la spesa da sostenere per farlo anteposta dall’etichetta. Insomma, “Reforged” è un modo per riprendere in mano una branchia della discografica da parte degli Iron Savior, risuonando appunto quel materiale. Sielck, voce e chitarra solista, pilastro storico di una formazione nata nel 1996 accoglie, insieme agli altri, Patrick Opitz nel ruolo di bassista. La resa di questo lavoro è da definire. Per esempio “Break It Up” ne guadagna dalla sua ristrutturazione, mentre “Walls of Fire” appare identica, con la differenza di una produzione moderna. Non è l’unica canzone a onor del vero a fregiarsi di questa soluzione. Questo darebbe senso all’operazione, eppure la ragione reclama spazio in questa riflessione: che senso ha la nuova e pur valida “Never Say Die” con l’originale che è ben più affascinante? Si osa porre lo stesso quesito per “Dragons Rising”, oppure “Machine World” che appaiono si moderne, ma indebolite di quel loro fascino arcaico e immediato. Questa operazione discografica forse mira a fare una pubblicità sulla storia della band e in parte è comprensibile, ma non ci riportano quegli album difficili da trovare se non nell’usato.
(Alberto Vitale) Voto: s.v.