(SPV/Steamhammer) E allora, come vanno i Kamelot senza Roy Khan? Vanno bene, diciamolo subito. Forse non benissimo, ma bene sicuramente. Il talentuoso cantante è stato sostituito dallo svedese Tommy Karevik, che forse qualcuno conoscerà per la sua militanza nei progsters Seventh Wonder, e che in diversi frangenti ricorda il suo predecessore; Sascha Paeth ha fatto un buon lavoro di produzione; e i brani si presentano in discreta continuità con quanto la band ci ha fatto ascoltare in passato, senza riciclare e senza strafare. “Sacrimony” (Angel of Afterlife) è un avvio solido e dell’aura cinematografica, cui manca però un minimo di mordente per sfondare davvero. Più forza e inventiva in “Torn”, dove peraltro Karevik sfodera una prestazione magistrale che davvero non fa rimpiangere le prestazioni di Khan. Dal taglio epico la ballad “Song for Jolee”, mentre “Veritas” dispiega il tipico Kamelot sound, con cori, chitarre potenti, orchestrazioni e quel tocco prog che a mio giudizio ha sempre avvicinato la band americana agli Angra. La titletrack ha un approccio che ho trovato incredibilmente simile alle ultime cose dei Dark Moor: chi ha ispirato chi? In “Solitaire” si mescolano elementi power e gotici, mentre la lunga suite “Prodigal Son” (qualche secondo oltre i nove minuti) inizia in modo estremamente lento e solenne… forse così solenne che il pezzo non decolla mai veramente, e finisce per suonare un po’ impallato. Forse sono troppo critico (come quasi sempre!) con i big, ma concluderei dicendo che il decimo disco dei Kamelot supera certamente l’esame, ma non brilla come “Epica” o “The black Halo”. Curiosità: nelle note del booklet, Luca Turilli è accreditato come “Latin consultant”!

(Renato de Filippis) Voto: 7/10