(Division Records) Siamo a quota quattro con gli album nella discografia dei Kehlvin, band svizzera dedita al post-hardcore ed allo sludge più estremo. “The Orchard of Forking Past” si sviluppa attraverso otto canzoni che hanno l’aspetto di litanie, cioè di qualcosa che si ripete nella sua cadenza e struttura. Litanie fatte di vibrazioni di metallo distorto, di campi magnetici che si scontrano e si spingono a vicenda. I Kehlvin sono immense forze che vanno a cozzare in un solo punto e producono ondate. Il loro sound è ossessivo, frutto di dilatazioni e ripetizioni, ma con melodie atemporali, ipnotiche che percorrono le otto composizioni. Quel genere di sound che sembra andarsene alla deriva e portarsi via tutto, compresi i pensieri e le frustrazioni. isolamento per la mente, attraverso distorsioni comunque nitide, perché il lavoro di durante le registrazioni e il successivo missaggio di Julien Fehlmann (Unfold, Dirge, Yog, The Ocean e altri) e poi la masterizzazione di Brian Lucey ( Black Keys, David Lynch ecc.) hanno lucidato perfettamente le note. Si apprezzano “The Metaphysical Trout”, lenta, sommessa ma intensa evoluzione di scenari e note vibranti, “Melon Fucker”, ammasso di pietre oscillanti che si caricano di un pathos in crescendo per oltre nove minuti. “Whip This” è uno sludge mostruoso e “Why I Am Not” e un altro momento di significativa melodia intensa e fluente, mentre la title track finale è una lenta catarsi. Come dei Neurosis più fluidi. Ottima prova per Yonni, Spieli, Bud, Baptiste, Zen.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10