copkingbong(Moonlight Records) C’è qualcosa di primordiale e dirompente insieme nel legame che regge una formazione di tre musicisti. Un trio si scatena sempre, ponendosi da prima sulla base di ciò che suona ed evolvendosi e cambiando i connotati del sound poi. Per quanto concerne questi tre è difficile esprimersi sul loro sound. L’etichetta li presenta come instrumental stoner e di sicuro alcune melodie e scenari ricordano il genere, ma credo che i King Bong vadano ben oltre. La prima metà dei 13′ di “Even 50 Feet Hamsters Have Feelings” sono una melodia sommessa, un arpeggio che pian piano aumenta e poi entrano in scena colpi robusti della chitarra, del basso e della batteria. Il sound diventa tra il noise e il rock lisergico e forma una cortina di confusione. Assodato che non c’è nessun cantato, la band si lancia in queste lunghe composizioni (solo “Inhale of Main Street” scende sotto i 10′) e la seconda, “Of Bong and Man” passa da un simil stoner iniziale ad una divagazione blues e quasi jazz e per poi riprendere un impatto rude alla fine. “Inhale of Main Street” ha un impeto da jam session, molto anni ’70 e ricorda certe improvvisazioni di Hendrix in studio, oltre ad una buona porzione di psichedelia. “Kilooloogung” viaggia su toni bassi e attraverso una forma libera dai concetti di genere. “A.B. Ong” riprende un tono hard blues e monta in una cavalcata selvaggia e per piombare poi in qualcosa alla Santana o Mclaughlin o Peter Green. Non per il tocco, ma le atmosfere sono proprio quelle lunghe escursioni  individuali, da parte di Andrea (chitarra e theramin) e seguito docilmente e con personalità dal basso di Alberto e dalla brillantezza delle bacchette di Teo Heavydrum. Gli ultimi 12′ e oltre dell’album si intitolano “Cthulhu”. Un soggetto, quello di Lovecraft, spesso sentito e ripreso dal metal, ma questa versione inizialmente lisergica, poderosa e stoner-rock poi e di nuovo psichedelica, alla fine, restituisce all’ascoltatore una chiave di lettura particolare dei tratti del mito. L’idea di muoversi attraverso schemi più o meno liberi e sonorità che abbracciano più soluzioni, tengono i King Bong lontani dal canonico formato canzone e contemporaneamente l’aspetto dei pezzi non è proprio quello delle classiche jam session, in quanto sembrano muoversi all’interno di percorsi ragionati. Istinto e ragione, più o meno. Questo sembra di avvertire dagli schemi compositivi del trio italiano.

(Alberto Vitale) Voto: 7/10