(Stickman Records) Questi americani non li ferma più nessuno! A dire la verità in occasione dell’uscita di “The Burden Of Restlessness” (recensione qui) lo scorso giugno, dichiararono l’intenzione di pubblicare ben tre album nel corso del 2021… ma “Acheron” è solo il secondo… quindi sarà difficile possano rispettare la scadenza visto che tra un mese finisce l’anno! Ma al trio di Rochester, New York, credo importi poco, visto che il lavoro che c’è stato dietro a questa nuova vibrante creatura non è stato banale; “Acheron”, con le sue imponenti quattro tracce già offre molto più di qualunque cosa ‘un altro album’ potrebbe mai offrire: si tratta di una registrazione ‘live’ in una caverna (sarà ai posteri noto come il ‘disco della caverna’!), figlio della pandemia, come il precedente e come quello che seguirà: “Acheron” pulsa forte, smuove le vertebre, punge e taglia, si rivela affilato, potente, oscuro, ovviamente psichedelico, ma anche sognante… meno nervoso di “The Burden Of Restlessness”, più atmosferico, più riflessivo, legato ai miti (il titolo fa riferimento al fiume del dolore, Acheronte, della mitologia greca), ad una poesia più profonda, più ricercata. Dentro queste grotte, le Howe Caverns a NY, la band ha dato vita a musica immensa con una prestazione catturata anche in un video documentario, perché una sessione live luna una giornata intera dentro una grotta è un qualcosa che non può assolutamente andar perso! Riff ossessivi, linee melodiche seducenti, risoluzioni di basso eccitanti, occasionali suoni naturali, quelli dell’acqua che scorre in quella caverna: la title track ipnotizza, quella chitarra ricama provocazione e quei riff cattivi hanno il sapore dell’estasi mistica. Più vintage, più irregolare, più progressiva ”Zephyr”, brano con un basso monumentale, organi seduttori ed una chitarra grintosa come non mai. È un viaggio nelle tenebre più accoglienti ed avvolgenti “Shadows”, stoner rock che incontra il prog, mescolandosi con sensazioni Twin Peaks-ose, il tutto sopra un tappeto ritmico meraviglioso. La conclusiva “Cerberus” porta lontano, si rivela teatrale, cinematografica, tanto ricca di riff granitici quando di paesaggi atmosferici unici. Non è ben chiaro quale sia il sentiero che i King Buffalo vogliano intraprendere… forse non è chiaro nemmeno a loro, ma in questo clima di improvvisazione resta evidente che musicalmente ormai non hanno limiti, sanno svelare una innata creatività stravagante, una capacità di coinvolgimento unica… e quando si preme play, dopo aver alzato il volume a palla… ecco che si scatena la pura magia!

(Luca Zakk) Voto: 9/10