(Nuclear Blast Records) Che dire: forse sono troppo critico, ma ribadisco (come feci già ai tempi di “Kulkija”) che i Korpiklaani la benzina l’hanno finita da tempo. I dischi degli esordi, in particolare i primi tre, hanno creato per i finlandesi uno status talmente leggendario che da tempo basta loro vivacchiare: “Jylhä”, il loro undicesimo album, non fa in realtà nulla per cambiare le carte in tavola, e le pretese ‘sperimentazioni’ in realtà sono tutte già sentite. Dopo una intro quasi da metal classico, “Verikoira” alterna parti più lente ad altre tirate, con una batteria incalzante, e un passaggio dove Jonne Järvelä spinge al massimo le proprie doti vocali: nella cartella stampa, il nostro racconta di omaggiare così Rob Halford… Classico, incalzante folk metal per “Niemi”, un po’ monotona la linea vocale di “Mylly”; è lo stesso difetto di “Kiuru”, brano dove sembra che Jonne ripeta meccanicamente il testo fino alla fine. Finalmente belle trame sonore, soprattutto per quanto riguarda il violino, in “Tuuleton”. So che sembra assurdo, ma “Sanaton maa” sembra quasi una versione folk metal di “You give Love a bad Name” di Bon Jovi: i due ritornelli assonano… una batteria vivace e arrembante anima l’up-tempo “Pohja”; ispirato il ritmo di “Anolan aukeat”, mentre scherza con la western music l’ironica “Pidot”. Si chiude con gli oltre sei miuti di “Juuret”, con un refrain finalmente degno dei bei tempi, e a un certo punto un riff con ripartenza heavy/power metal, che non guasta mai! Un disco nella media delle produzioni degli scandinavi degli ultimi anni, con qualche buon ritornello, pochissime cadute di tono, ma senza smalto.

(René Urkus) Voto: 7/10