(Minotauro Records) Disco d’esordio dal titolo omonimo per questa storica band ferrarese. I Limite Acque Sicure (LAS), sono impegnati da quasi 20 anni a proporre classici del rock progressivo italiano, soprattutto del Banco Del Mutuo Soccorso. L’album si apre con il brano “Sogno d’Oriente”, forse il più rappresentativo del disco. Parte con atmosfere orientaleggianti per sfociare in un serrato 4/4 irregolare sorretto da un accattivante riff di chitarra e da inserti all’unisono tra chitarra, basso e synth. La voce del cantante Andrea Chendi si inserisce fluida e coerente, il timbro è pulito, suadente e potente, ricorda certe modulazioni del Tagliapietra più maturo. Un breve break riprende l’intro e anticipa un originale assolo di synth che si staglia nello spazio sonoro lasciando strada al flauto e alternandosi con esso. Poco dopo, tutto l’assetto melodico vira in tonalità maggiore portando a compimento in modo solenne la mini-suite. Sicuramente questo è il brano più bello e completo del disco, seppur armonicamente ripetitivo. Negli altri brani, i momenti puramente prog si alternano a sonorità che si avvicinano troppo a canoni tipici della musica leggera italiana, in questo ricordano alcune parti molto melodiche de Le Orme. Le melodie sono molto efficaci e gli incastri tra i vari strumenti ben orchestrati, ma qua e là emergono ammiccamenti, seppur involontari, a certe atmosfere che ricordano band come i Pooh e similari. Questa mia sensazione si rileva soprattutto nei brani “Terra Straniera”, “Il Respiro dell’Anima”, “Antico Mare”. Anche nella successiva ballad “Fiamme Intorno” la sensazione è la stessa. Nelle grandi prog band italiane del passato, questi lirismi affettati, ereditati dalla tradizione operistica italiana, erano inserti occasionali e spartiacque tra i momenti più prog, duravano pochi istanti. Nel disco dei “LAS” diventano la regola, sono presenti in eccesso. In generale la band suona un buon rock ma si mantiene troppo su un middle-time moderato costante. I brani non prendono mai il volo, non spiccano e non spaccano. Peccato perché le potenzialità, le capacità tecniche individuali e l’ispirazione creativa è ben presente. Suonano col freno a mano tirato, con prudenza, senza accelerare. I momenti veloci, vorticosi, complessi, stravaganti sono veramente rari, neppure coi tempi composti osano tanto e da un gruppo prog però ce lo si aspetta. Sussiste spesso una eccessiva ariosità armonica nel tentativo di forzare la ricerca di un pathos autocelebrativo tipico del prog, ma comunque pomposo. Tutto questo si evince anche nella produzione, a mio parere troppo pulita e patinata. Sulla cover “Il Giardino Del Mago”, incisa originariamente dal Banco Del Mutuo Soccorso nel loro disco omonimo del 1972, non c’è molto da dire, suonata fedelmente come l’originale scorre un po’ anonimamente tra le altre canzoni. Nel breve brano conclusivo ritorna questa tendenza autocelebrativa, un crescendo armonico sonoro, tipico di un pathos che contraddistingue il finale di molti dischi. Giusto due esempi tipici: il finale di “Supper’s Ready” dei Genesis, o di “Eclipse” dei Pink Floyd, solo che nei “LAS” questo tentativo è forzato e ingenuo. Discorso a parte per i testi, a mio parere scontati e incerti sia nella poetica che nel concetto generale proposto. La copertina è molto bella. Insomma una partenza un po’ coartata per questa band, come se i musicisti non fossero davvero liberi, come se non avessero il coraggio o l’ardire di provare, cimentarsi, avventurarsi, lasciarsi andare davvero. Meno male che ci sono però.

(Vito Lupo) Voto: 6/10