(Devouter Records) Angoscia. Senso di asfissia. Trasporto psicologico verso una dimensione sconosciuta alla luce, alla speranza, alla vita. Viaggio deviato verso uno stato immaginario, fantastico, apocalittico. Un trattamento che è una tortura, il grido soffocato di una mente disturbata, prigioniera di se stessa, in caduta libera verso la fine, verso il silenzio, verso la decadenza, verso l’inutilità. Trephine, il concept album dei debuttanti Make è una storia oppressiva, dove il tempo si contorce, la luce viene a mancare, il sole si raffredda, e la vita si disperde in una gelida galassia generata dalle atmosfere che si vanno definendo con i suoni che il trio del North Carolina riesce a costruire. Un album che riesce a trascinare l’ascoltatore in un viaggio infinito, pensieri rapiti e mai più ritrovati. Sonorità che spaziano dal doom al drone, ricordando Isis e Godflesh, mantenendo una direzione ambient che permette di lasciarsi andare, di abbandonare il legame con la realtà, verso la totale immersione in un mare nero, piatto e senza vita, dove un uno strumento primitivo di controllo emotivo riesce a mostrare immagini, fatti, scene, facendo provare paure, terrori, angosce e sofferenze. Durante questo vagare in un nulla così fitto ed intenso i Make offrono barlumi di speranza, che successivamente decade, sparisce, muore. Ogni singola nota è capace di creare immagini, mentre il ritmo lento e oscuro del basso e della batteria avvolgono il vuoto e lo trasformano in massa, in sostanza, in materia marcia, decadente, come del petrolio sparso in un mare azzurro che si trasforma in una prigione infernale. Episodi come “…And Time Came Undone” e “Valhalla” sono delle autentiche opere. Realizzazioni monumentali che creano sensazioni, una dimensione unica di ascolto, musica che diventa un’arte più completa e piena. “Surrounded By Silent Lies” è un macigno con una base ritmica travolgente, pesante, graffiante. In tutti i pezzi il basso è perverso, caldo, sanguinosamente erotico, mentre la batteria riesce a creare un’atmosfera unica con un uso sapiente e ossessivo dei piatti. La componente estremamente heavy di “Returning To The Ruins Of  My Birthplace” riesce a supportare tutta l’agonia del pezzo, mentre la lentezza di “Schorched Sky” genera un senso di claustrofobia che annienta, tortura, uccide. Un lavoro immenso, una composizione di altissimo livello, una struttura delle canzoni che denota esperienza e capacità. Dopo un’ora, la durata di questo incubo, torna il silenzio. Mi ritrovo sudato, stanco, ansimante. Ho sete. Voglio respirare. La mia mente ha percepito cose per le quali non è mai stata pronta. Non riesco a capire cosa sia reale e cosa non lo sia. Le dimensioni si confondono. Un senso di sollievo viene dalla percezione dell’ambiente familiare, delle cose che conosco e che, credo, mi circondano. Forse ne sono uscito. Oppure, forse, questa è semplicemente la fine.

(Luca Zakk) Voto: 9/10