(Armageddon Label) Dopo un paio di EP (qui due righe sul primo) è finalmente tempo di debutto per questa macilenta entità americana la quale rifiuta, in tutti i modi, ogni ipotesi di modernità sonora. Secondo gli standard odierni, i Malleus suonano del black metal, è così che oggigiorno si classifica una band del genere, ma la verità è che per questo quartetto il black non è ancora nato, non esiste ancora, per lo meno non in maniera ben definita, non come genere indipendente… visto che loro appartengono ancora a quelle sonorità della prima seminale ondata, quando il black metal altro non era che una espressione più violenta di generi già eccessivi, come death, thrash e speed metal. E, saltando indietro di qualche decina di anni, ecco che “The Fires of Heaven” appare tanto crudele quanto geniale, tanto fuori mercato quanto favolosamente attuale, con i suoi riff feroci, quelle linee vocali disumane, con i mid tempo che appartengono a heavy e doom, con quelle atmosfere lugubri che spesso il black sacrifica nel nome della velocità o di una struttura musicale più complessa. “A Dark Sun Rises” confonde: death? Thrash? Forse i Motörhead messi dentro un frullatore? Nervosa “Beyond the Pale”, un death metal di epoca Sodom che riesce a rallentare verso un riff heavy estremamente classico e prevedibile… ma proprio per questo motivo irresistibile. Head banging, anzi mosh selvaggio con “Prophetess”, diabolica la title track, con la sua aggressività ancestrale, la quale non si basa su una rabbia da sfogare a tutta velocità, piuttosto in una disumana cattiveria che si manifesta terrificante anche in quel mid tempo incisivo e profondo. La crudeltà si fa melodrammatica con “Into the Flesh”, traccia che inizia a intravedere una proto-definizione di black metal leggermente più delineata, mentre l’assalto frontale di primi Sodom e Kreator domina la struttura del brano. Imprevedibile la lunga “Awakening”, brano che si abbandona ad un doom sulfureo, incredibilmente lento, paurosamente teatrale ma capace di cavalcare glorioso verso gli inferi, prima della nostalgica e conclusiva “Mourning War”, nella quale la deviazione mentale del sottoscritto ci sente ANCHE i Sodom di “Agent Orange”. I testi intrecciano storia, prospettive occulte, seguendo quasi un concept che ruota attorno all’arrivo durante il 17° secolo nelle terre americane dei puritani europei, principalmente inglesi, con la conseguente tragedia umana generata dal confronto con altre culture già presenti nel New England, ovvero i nativi, i cattolici francesi e gli schiavi africani. Così antichi, così tradizionali, così malsanamente coinvolgenti…così diabolicamente puri e lontani da influenze recenti. Una perversione compositiva ed esecutiva che è rimasta congelata agli albori, nei meandri sulfurei della prima ondata del black metal… dentro quella favolosa e surreale epoca nella quale la scena era dominata da nomi quali Bathory, Venom, Celtic Frost, Sodom e, ovviamente (da come suona il basso)… i Motörhead!

(Luca Zakk) Voto: 9/10