(Napalm Records) quando realizzi che gruppi che hai praticamente visto nascere sono ora considerati tra i grandi del genere, forse è doveroso fare una piccola retrospettiva. Nati con questo nome verso il ’94, i lusitani hanno dato buona impressione sin dall’EP d’esordio “Under The Moonspell”, grazie ad un black colto e attento alle sonorità quanto alle liriche. Ma già nella coppia di album d’esordio, “Wolfheart” e “Irreligious” le cose cambiano. Serpeggia infatti una nuova sonorità, molto più morbida ma nel contempo languida e sensuale. La splendida traccia in chiusura del loro secondo lavoro, “Full Moon Madness” è forse il manifesto di questo periodo, un pezzo ancora oggi usato in chiusura dai portoghesi e, a conti fatti, uno dei primi esempi di black “commerciale” ma con forti richiami al gotico come ai temi oscuri e magici tipici invece del black più oltranzista. Fa da contraltare in questi lavori una propensione anche per una certa leggerezza nelle strutture canzoni, grazie a quasi-hit da radio come “Opium”… E forse è proprio con questa traccia che ai lusitani viene in mente di dare una sferzata ancora più commerciale con il dittico “The Butterfly Effect” e “Darkness And Hope”, lavori forse troppo morbidi rispetto ai precedenti, ma che sono stati rivalutati più recentemente come un tentativo fallito di esplorare lidi sonori più famigliari ai Depeche Mode che a formazioni metal. Ma a mio parere la vera svolta arriva con quello che considero ad oggi il loro capolavoro ineguagliato, “The Antidote”. Perfetta bilanciatura alchemica di suono, potenza, vigore, brutalità, eroismo, testi e composizioni. Non una canzone che non possa definirsi perfetta… un capolavoro, appunto. Con “Memorial” e “Night Eternal” continua la cavalcata di una discografia ora sempre su livelli davvero molto alti, seppur leggermente inferiori al capolavoro sopra citato, almeno per il sottoscritto. Persino il successivo “Alpha Noire/Omega White”, nettamente inferiore ai precedenti non può dirsi un album malvagio, come la sua naturale evoluzione con “Extinct”, fino ad arrivare a “1755”, lavoro coraggioso, fatto forse più per dovere storico che volere artistico. Un album davvero accattivante e davvero ben riuscito, considerato il cantato in portoghese… E si arriva ad oggi, a questo nuovo “Hermitage”, disco che ho aspettato molto, quarta opera sotto la Napalm e che, dopo un paio di ascolti, posso etichettare come un nuovo cambio di rotta dei nostri. I Moonspell degli anni ’20 sono davvero molto più orecchiabili, più malinconici e persino più commerciali, grazie a tracce che di volta in volta risultano più dirette “da radio”, come l’opener “The Greater Good”, a volte più prog come “All Or Nothing”. Man mano che le tracce si susseguono, colpisce l’estrema varietà delle composizioni, come ad esempio la title track, che se non fosse per il cantato sarebbe scambiata per un pezzo dei Queensrÿche… Ogni traccia che si aggiunge all’ascolto sembra aggiungere una nuova sfumatura all’opera, che di fatto comincia seriamente a mettere la poliedricità davanti a tutto, in un album che di fatto risulta probabilmente il meno Moonspell della loro discografia. Ciò non toglie che sia un lavoro coraggioso, composto bene e mostrando una padronanza tecnica ormai fuori di ogni dubbio, un lavoro che non stuferà così presto nessun ascoltatore che abbia apprezzato un qualsiasi album dei lusitani, pur non raggiungendo mai le vette compositive dei precedenti.

(Enrico MEDOACUS) Voto: 8,5/10