(Peaceville Records) Saltiamo ogni introduzione o cenni biografici su questa band inglese arcinota.”A Map of All Our Failures” (titolo eccezionale) è un album alla My Dying Bride in senso assoluto. In questa nuova opera c’è tutta la loro essenza e filosofia, spesso sbrigativamente spiegata attraverso  un’ironica insofferenza per quei toni depressivi e funerei. Un aspetto, un carattere che tuttavia è un dato di fatto, non si discute. “Kneel Till Doomsday” apre l’album e la sensazione di entrare in quella inquietante e spaventosa stanza, raffigurata in copertina, assale l’ascoltatore. La canzone è tra i pezzi più vivaci, ma soprattutto dinamici che popolano questo album, come la seguente “The Poorest Waltz” che rappresenta il punto stilistico più importante di “A Map of All Our Failures”, visto l’intreccio tenebroso e vibrante delle melodie e quel vago senso di richiamo al passato della band. Altre situazioni in cui il dinamismo si materializza per l’intera durata di una canzone è in “Hail Odysseus”, dal portamento possente, maestoso, drumming marcato e con le chitarre che innalzano melodie. C’è anche “Abandoned as Christ”, dove i toni doom più cupi e chitarre a più riprese semi-lisergiche nelle distorsioni, creano un flusso melodico funereo ma comunque snello. Il brano è posto a chiusura dell’album e la sua struttura spaccata in due, anche da una breve pausa, fa pensare quasi a due pezzi incollati insieme. “A Tapestry Scorned” resta impressa per alcuni suoi tratti duri e per il lavoro di Shaun Macgowan, il quale irrompe nell’atmosfera con un violino aggraziato e successivamente con un organo che negli ultimi due minuti del brano (davvero belli) e con la collaborazione delle chitarre di Craighan e Glencrosm, sprigionano un doom quasi occult rock. L’album concede i suoi momenti nettamente al passato in brani come “Like a Perpetual Funeral” o nella title track, ma in oltre un’ora i risvolti ai tempi di una volta sono diversi e comunque fisiologici. La durata dei pezzi è considerevole, tolti i cinque minuti di “The Poorest Waltz” il resto riesce a superare gli otto minuti e lambendo i nove, come nella penultima canzone, “Within the Presence of Absence”. Per quanto possano avere degli schemi già usati, la struttura dei loro pezzi e decisamente migliore di tanti altri, ma ancora di più la fluidità melodica, la volontà di cambiare marcia e i toni rendono i My Dying Bride una band superiore a molti, ma anche incatenata ad uno status che non le permette più di superare se stessa.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10