(Inter Arma Productions) “Herbstleyd” è stato in assoluto uno dei dischi più belli del black metal. Non solo, anche i due “Rasluka” son stati a loro tempo dei capisaldi del black. Ne sono passati di anni, ma il progetto Nargaroth non ne ha voluto sapere di uscire dalle nebbie dell’underground. Un ambiente che, sembra impossibile, è ancora più feroce del mainstream. Infatti qui solo chi ha le idee chiare e gli obiettivi ben piantati in testa può sopravvivere. Qui impera la coerenza e quella soltanto. Ecco allora che da quest’ottica si può ben capire come un tipo come Nargaroth abbia potuto portare avanti in modo imperterrito il proprio disegno musicale, sempre coerente con se stesso e nient’altro. Fatto questo doveroso preambolo diciamo senza tanto girarci attorno che l’ultima fatica del tedesco è probabilmente l’opera più ambiziosa da lui partorita. Un concept sulla creazione e sul mondo primordiale che risulta dal principio cosmogenico. Un’intro recitata da una voce femminile ci introduce in un lavoro in cui la componente folk è presente in modo massiccio, un’aura silvana che si insinua in praticamente tutte le tracce dell’album. Molti suoni mi ricordano i nostrani Selvans, tanto per dare una coordinata ai ‘rumori’ di sottofondo che permeano l’opera. Il disco è molto recitato, con un giusto equilibrio tra parti pestate e parti più calme. Il risultato è un lavoro molto bilanciato ma che forse ha perso in parte il fascino dell’underground vero e proprio cui ci aveva abituati l’artista. Otto anni son passati dall’ultima opera in studio e il salto in avanti in termini compositivi si sente tutto. La sensazione è che il compositore si sia preso tutto il tempo necessario per riassettare le idee ed esprimerle al meglio. Un disco che, seppur risentendo di un lieve calo di personalità, ha il pregio di una costanza qualitativa incapace di far rimpiangere astisti dal calibro molto più grande. Un inno all’onestà.

(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 8,5/10