CDBO08V1.pdf(Iron Bonehead) La Grecia ha sempre proposto gruppi interessanti e nel metal estremo, black incluso, è un paese che non teme confronti. Nocternity è una entità non certo recente: in circolazione dal 1997, due album -l’ultimo dei quali del 2003- e poi solo vari EP e split, tra l’altro con pause importanti (gli ultimi due EP contano cinque anni tra di loro, essendo datati 2012 e 2007). Finalmente, a 12 anni dal secondo album, arriva il terzo che rappresenta oltre tre quarti d’ora malati, spietati, pregni di occulto e visioni dell’oscuro con la costante rappresentata da KD, ovvero la mente originale della band che con la sua creatività malefica toglie subito ogni dubbio. Il travaglio è stato comunque complesso: il disco è stato scritto durante una decina di anni, registrato già un paio di volte con membri differenti, dando finalmente priorità alla seconda versione, quella completamente analogica, quella che tortura la mente dell’ascoltatore in queste otto devastanti tracce piene di un black metal lento, pesante, crudele, a cavallo tra un doom estremo, letale, ed un DSBM privo di alcun barlume di speranza, di vita. C’è una costante pulsazione: il pulsare di vene che si stanno dissanguando nell’ambito di un concetto musicale semplice ma diretto: essenziale, puro, vicino ad un black antico, ad un black … originale come il peccato. Un peccato che ha radici profonde, se consideriamo che al microfono c’è il tedesco W, ovvero Whyrhd dei -da me molto- compianti Lunar Aurora. La riproduzione dell’album rappresenta un orgasmo mortale: “The Black Gates” è lenta. È ossessiva e con pochissimi accordi crea un ambiente ostile fantastico. La title track è una condanna, una marcia funebre che scava un sepolcro direttamente davanti le porte dell’inferno. L’origine delle paure si manifesta con “River Of Woe”, mentre una maledetta deviazione melodica intensifica il cammino verso la fine di “B.O.D.D.”, canzone nella quale la voce di W offre qualcosa di assolutamente velenoso. Oscuri trionfi su “Opaline Eye of Death” mentre una certa complessità musicale emerge nella conclusiva ”Andromeda”, creando un magnetismo verso una entità sfuggente ed eterea. Ci sono voluti almeno 10 anni per creare questo inno alle tenebre: un tempo lungo ma forse necessario per catalizzare tutti i mali del mondo, dell’umanità e riversarli con perversa crudeltà su “Harps of the Ancient Temples”, un album di black metal espresso alla perfezione.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10