(Séance Records) Entità disperse nei meandri dell’oscurità: gli australiani Nocturnal hanno una lunga storia, visto che si sono formati nel 1995; tuttavia questo è solo il terzo album, tra l’altro a ben diciannove anni di distanza dal precedente! Anche in Australia gli anni novanta sono stati un terreno fertile per il black underground ed i Nocturnal, allora una one man band, ebbero una certa libertà stilistica nel proporre un black intenso, con deviazioni proto-depressive, espressività glaciale ed una distintiva personalità che non li associava ad (un’altra) imitazione delle band del nord Europa. “The Great Emptiness”, dopo quai due decenni, vuole essere un album con una visione e delle sonorità che danno una continuità stilistica a “To the Far Horizons” (uscito nel 2000), una specie di rievocazione di uno stile riproposto oggi come se il tempo non fosse mai passato, un giuramento di eterna fedeltà ai sentimenti che diedero vita ai Nocturnal all’epoca. La band nel frattempo è cresciuta con l’ingresso in formazione del batterista A.Frore, dando forse più spazio compositivo al mastermind P.Solus, sicuramente arricchendo il suono e la resa dei brani che, old school o meno, devono comunque farsi strada nel mercato e tra i gusti odierni. Il nuovo album è black metal antico, ma i suoni sono molto curati e spesso iniettati da idee melodiche brillanti, regalando tuttavia quel feeling remotamente lo-fi, specialmente nel reparto ritmico, in onore al vero black degli anni ’90. “My Temple” è un mid tempo suggestivo, le linee vocali elargiscono disperazione e gli arpeggi delle chitarre ricordano le sensazioni di certi capolavori dei Satyricon. Emerge quella componente depressive sulla viscerale ed introspettiva “My Flesh Is But Rot”, altro brano dalle sublimi melodie. Furiosa la title track, drammatica, provocante e teatrale la bellissima “Nail”, pulsante e con ottime progressioni “Song Of Death” prima della conclusiva e contorta “Shadows In Euclidean Spaces”, un brano che unisce melodie epiche ad un riffing selvaggio, old school, con linee vocali strazianti e ritmiche dal gusto remotamente tribale. Molta melodia. Tanta atmosfera. Riff ben concepiti che si susseguono in una progressione sempre molto bilanciata, un lento cammino verso gli inferi, verso l’esplorazione delle più deviate emozioni umane.

(Luca Zakk) Voto: 8/10