(Amor Fati Productions) Progetto al debutto. Ma Nubivagant non è certamente una one man band che esce dal nulla, in quanto la mente dietro a tutto è il poli-strumentista italiano Omega, colui che conduce da solo i Deathrow, il musicista del duo Darvaza, il batterista di -tra gli altri- Frostmoon Eclipse, Moloch, Blut aus Nord, Chaos Invocation, Enepsigos, la voce (e batteria!) dei Fides Inversa… oltre che ex membro di altre bands quali Acherontas e Handful of Hate. Appare quindi subito chiaro che “Roaring Eye” non è l’ennesimo primo lavoro di qualcuno che inizia quel lungo ed incerto percorso artistico, piuttosto è l’ennesima celebrazione ed auto-interpretazione di un musicista, di un artista tutt’altro che alle prime armi o privo di esperienza. Siamo certamente in ambito black metal, ma con un punto di vista molto diverso dal solito: la voce di Omega è palesemente clean, tranne qualche occasionale divagazione più aggressiva… e l’impostazione dei brani offre un sapore deliziosamente gelido che si abbina a ritmiche furiose ma suggestive, molto ipnotiche ed a linee vocali quasi distaccate… una specie di forma di recitazione surreale supportata da un turbinio sonoro travolgente. Subito spietata “Wonders Of The Invisible World”, il primo brano dove emerge questo stile furioso ma in qualche modo mitigato, supportato da un drumming incisivo e quel cantato talmente fuori schema tanto da risultare avvincente, oltre che sconvolgente per quelle fugaci aperture ad un growl più tipicamente ‘in stile’; il mid tempo finale è provocante, altra anticipazione di ciò che riservano i successivi brani. Più contorta e meno lineare “The Furnace Of Apollyon”, pezzo ricco di accenti, altrettanto brullo e siderale, drammatico ed angosciante. Subito un micidiale mid tempo in stile DSBM con “One Eye Upon The Grave”, canzone delle pulsazioni travolgenti intensificate dalla voce che qui assume un tono etereo, mentre “Crawling The Earth” è più teatrale, decisamente apocalittica con un evoluzione delle linee vocali ancor più spinta oltre, fuori dagli schemi e dalla prevedibilità. “Solemn Peals” conduce con decadenza verso la cadenzata, paurosamente penetrante e superlativa conclusiva “The Plague Of Flesh”. Ritmiche e melodie legate ad un black che spazia da Burzum al DSBM. Linee vocali che potrebbero dominare su metal gotico, dark wave, speed metal, heavy… e forse un’altra mezza dozzina di generi non legati tra loro. Album assurdamente magnetico, senza tempo, senza epoca, senza legami, libero e fiero. Black metal scorrevole e pulsante capace di trascinare con delicata violenza verso uno stato catatonico, una ipnosi delirante che rivela su uno scenario brullo, freddo, privo di vita, stretto in una morsa di ombre e paure ancestrali.

(Luca Zakk) Voto: 9,5/10