copoceansofs(Autoproduzione) Probabilmente il nome di questa band di Houston non dirà molto, come gli stessi musicisti che la costituiscono. Sono elementi che hanno avuto esperienze live con Demoniacal Genuflection e Ingurgitate, ovvero il cantante R. Allen, A. Contreras e K. Kelley, chitarra e basso,  oltre a S. Geary, un chitarrista di estrazione jazz, e il batterista per Insect Warfare e tante altre band, e ovviamente anche le due degli altri tre indicati, cioè Dobber Beverly.  Insomma, tolto Beverly gli altri sono degli emeriti sconosciuti e provenienti da band ignote (per carità, gli Ingurgitate sono ben noti), ma la loro preparazione tecnica li ha fatti coesistere sotto questo nuovo monicker, alfiere di un progressive metal labirintico, estremo, parzialmente claustrofobico e dalle melodie improvvise e mai scorrevoli. Provo a semplificare scrivendo che c’è, indicativamente, un miscuglio di Creed, Fear Factory, Machine Head, Gojira, Nevermore, alternanze di generi, tra rock, heavy, thrash e death metal e sporadici contrappunti o bridge vagamente jazz. Tutto questo è progressive metal, suonato con estrema precisione ma anche attraverso una buona dose di fredda lucidità esecutiva, leggasi anche come assenza di melodie memorabili. No, anzi…le melodie ci sono, ma quello che c’è tra due di loro è spesso un labirinto. “Memorium” è il terzo brano e finalmente si trova un filo melodico conduttore, quella tensione oscura e malvagia che serpeggia dall’inizio alla fine e le stesse progressioni sembrano spuntare da essa, ne sono figlie e non fasi a compartimenti stagni che la contengono. “Remedy” è un altro momento interessante, dal punto di vista melodico, anche per via di una tecnica che diventa sciolta e incalzante nel riffing e nel drumming. Come dei Voivod complessi. “Only a Corpse” sembra un power thrash ben strutturato e in “Primordial” spicca anche un cenno di black metal e un arrangiamento di tipo jazz. Il missaggio e la masterizzazione dell’album sono addirittura di Russ Russell (Napalm Death, Dimmu Borgir, Evile), a lui il merito di aver creato un sound che sa essere duro quando c’è da esserlo e sufficientemente torbido, evasivo, sospeso in scenari dalle atmosfere insondabili quando c’è da essere meno metal. Trovo “Aetherial” ostico, lo lascio intendere già dall’inizio di questo testo, ma sono sinceramente ammirato su come la band sia stata brava a creare un proprio sound e un’architettura personale, soprattutto quando diminuiscono le velocità e la tensione (vedi alcuni passaggi della title track), dai quali nascono perfino parentesi di rock progressive di matrice anni ’80. Non un album da primo impatto, ma uno impegnativo e che richiede attenzione.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10