(SGW Productions) È caos questo album e anche dozzinale nella qualità. Lo si evince guardando la copertina, ma andando oltre le apparenze, il punto è che la musica dei Peosphoros è qualcosa che viene fuori da una serie di concetti che stanno insieme un po’ per scommessa e un po’ per uno sconclusionato modo di pensare. Ragda Kara, Leyla Braun e Reimu, rispettivamente basso, batteria e voce, suonano un metal sporco, estremamente caotico e basilare, nel quale toni alla Christian Death, atmosfere lontanamente Celtic Frost, accenni di un death-black dei primordi e il punk, si incrociano per ottenere un risultato sopra le righe, ma spartano e comunque incompiuto. La portata del messaggio dei tre risiede in testi (QUI) dei quali c’è da chiedersi cosa rappresentino. Posto dunque che la musica è cruda, dozzinale nella resa, i tre si scagliano contro il black metal (in tal senso guardate i loro video QUI), anche se usano proprio questo genere per esprimere la propria musica e quanto essa contiene, osannano la croce, non detestano i musulmani, il tutto dichiarandolo, con ironia e non, attraverso quelli che sembrano degli slogan (<<Jesus was a man of freedom We love muslims, muslims muslims We love sharia law, Allah is a symbol of hope Isis got everything right, White cultural genocide We hail hitler>>). Nonostante tutto il loro messaggio è un’invettiva contro il genocidio delle minoranze, esamina in modo erratico la liberazione sessuale, perché in fondo i Peosphoros si definiscono come la ‘first full trans extreme metal band’. Cose del tipo <<When I was a little girl, I always dreamt about my father’s cock, it was so big and fluffy but when I found out that my dad is gay and fucks his personal trainer I was like, what the fuck dad… Fuck my pussy daddy Tie me up and lash me like islamic torturers>> risiedono in questi sei pezzi, dove provocazione o convinzione, dove idee estreme si battono contro altre idee estreme, per dare vita a un “Pink Metal” che vuole raccogliere fondi per i rifugiati siriani e palestinesi. Ascoltatelo QUI.

(Alberto Vitale) Voto: 5,5/10