(Hellthrasher Productions) Nonostante questo gruppo arrivi dalla fredda Finlandia è veramente poco dedito all’aspetto sinfonico della musica. Anzi, a ben vedere forse siamo ali antipodi della sinfonicità essendo i nostri degli accaniti accoliti del black. Ascoltandoli è impossibile non avere ben stampato in mente lo stereotipo di un gruppo di tipacci poco raccomandabili con la faccia in stile panda armato. D’altra parte non è un segreto che solo in alcune eccezioni il black si sia prestato al melodramma sinfonico e con risultati tutto sommato alterni e non sempre felici (qualcuno ha detto Dimmu Borgir?). Insomma, è parere di chi scrive che il black sia solo questo, musica rozza e ruvida, nera non solo nel nome e e oltranzista oltre ogni dire. Proprio per questo è un genere che si ama o si odia senza troppe mezze misure, che mal si adatta al mercato discografico e ben si presta ad essere proposto dal vivo. Tornando ai Perdition, non aspettiamoci chissà quali picchi di creatività o virtuosismo, semplicemente siamo di fronte ad un comparto ritmico che spinge sempre e comunque sull’acceleratore, le chitarre macinano riff come se piovesse senza pausa alcuna, mentre il cantante vomita chissà quali eresie con una voce che di umano ha solo l’autore…forse. Giusto qualche parentesi simil atmosferica, ma niente di preoccupante. A conti fatti, i Perdition Winds sono migliorati in tutti gli aspetti rispetto al loro debutto di un paio di anni fa e la sensazione che mi hanno dato è quella di voler ritagliarsi un piccolo posto tra la gente che conta in questo genere. Il cammino è lungo ma dicono anche che se non ci sono difficoltà non si troverà mai la gloria. Per il momento approvati a voti più che buoni, soprattutto in relazione alla propria evoluzione personale come gruppo.

(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 8,5/10