(Steamhammer / SPV) Una cosa che non manca ai Rage è la prolificità, visto che, se consideriamo anche gli inizi quando la band si chiamava ancora Avenger, questo è il ventisettesimo album in quarant’anni di onorata carriera per la formazione capitanata dall’inossidabile Peavey Wagner. Una carriera che potremmo dividere in tre fasi: la prima più legata al metal tedesco, roccioso e con frequenti richiami allo speed metal e al thrash; la seconda vede la formazione teutonica subire l’influenza della musica classica, prima con lo sperimentale “Lingua Mortis”, poi con “XIII”; una fase ulteriormente enfatizzata nel 1999, con l’entrata in line up del virtuoso chitarrista e tastierista bielorusso Victor Smolski, il quale ha portato in dote un bagaglio progressive di grande spessore, diventando inizialmente un valore aggiunto per la band, trasformandosi però con gli anni in una zavorra, con dischi che tendevano a suonare sin troppo simili tra loro (queste due fasi precedenti sono state comunque immortalate nel mastodontico doppio album “Afterlifelines”, uscito lo scorso anno. La terza fase comincia parte appunto dall’uscita di Smolski nel 2015, con un ritorno dei Rage allo stile più ruvido, cosa che ha caratterizzato capolavori come “The Missing Link” e “Black In Mind”. “A New World Rising” preme invece in maniera decisa sull’acceleratore, con alcuni riff travolgenti di chiara matrice thrash: intendiamoci, non è che improvvisamente i Rage siano diventati i Sodom, perché lo stile di Peavey e soci rimane inconfondibile, ma bisogna ammettere che un brano come “Innovation” randella alla grande, pur mantenendo linee melodiche decisamente catchy. La successiva “Against The Machine” è altrettanto roboante nel riffing, mentre l’inconfondibile voce di Peavey mostra la sua innata capacità di tessere melodie ruffiane nonostante la timbrica alquanto ruvida. “Freedom” è rocciosa e marziale nel riff, mentre il ritornello è studiato per essere cantato dal pubblico, con i classici ‘oh-ooh-oh’ da urlare in sede live. “Fire In Your Eyes” è una sorta di dichiarazione d’amore per l’audience metal, molto orecchiabile e dal ritornello incommensurabilmente paraculo, ma che funziona alla perfezione, visto che a metà brano mi trovavo già a canticchiarlo. La seconda parte dell’album è leggermente inferiore rispetto ai brani iniziali, ma si assesta comunque su livelli più che buoni, dove spicca l’eccellente “Paradigm Change”, dalle sonorità vicine all’hard rock. L’elevata prolificità discografica dei Rage non va a discapito della qualità, grazie ad una formazione ispirata, coesa e che dimostra di sapersi ancora entusiasmare e divertire.
(Matteo Piotto) Voto: 8/10