(autoprodotto) Torna Red Morris con un nuovo lavoro, il quale fa seguito a “Lady Rose” (recensione qui) del 2015. Un nuovo lavoro che rivoluziona il suo stile ed amplifica mostruosamente il soundscape propost. “Time” è disco che tra l’altro dura quasi il doppio del precedente, e considerando il contenuto artistico estremamente intensificato, è evidente che il lavoro che ha portato a questa release non è sicuramente da sottovalutare. “Lady Rose” era un disco sostanzialmente hard rock, un disco di chitarra shred, con divagazioni che arrivavano alle radici del rock, ovvero il blues. E “Time”? Provateci a dare una definizione univoca… e mentre ci provate, nel frattempo, i miei migliori auguri per l’arduo percorso che affronterete. L’indizio viene da una foto allegata al press kit, dove sono ritratti tutti gli artisti e professionisti che hanno collaborato… e così ad occhio -senza contare minuziosamente- ci sono più di una dozzina di individui. Uno sguardo ai musicisti… ed emerge subito che oltre a Red alla chitarra, Marco alla batteria ed Alberto al basso… c’è Marcello, il vocalist… indizio interessante se ricordiamo che precedente lavoro era strumentale! Ma non basta, perché è presente -come line up con tanto di foto e non semplicemente come guest- anche Mirco alla tromba! Difficile coniugare tromba con shred metal… ed infatti questo disco spazia in una tale vastità di generi che, come anticipato, sfida ogni tentativo di definizione! “San Sebastian” è un brano rock prog, delicato ma incisivo, con un’atmosfera di tastiere dentro le quali vocalist e chitarrista si lasciano andare con soave libertà, senza togliere alcun spazio al virtuosismo di Red. Sulla stessa linea, ma più riflessiva e malinconica, risulta “My Father”, un brano dove anche il bassista offre una performance efficace e seducente; il brano però offre due aspetti… uno più marcatamente rock, un rock diretto aperto allo shred… l’altro più prog, con tempi irregolari, musica assolutamente non scontata che esige musicisti preparati, quei musicisti che sanno abbandonarsi all’improvvisazione di derivazione jazzistica. Un brano melodic metal, tra ballad e aria malinconica è rappresentato da “Transilvania”, mentre “New York” esce da ogni schema, inglobando riffing metal, rock’n’roll e… jazz! Ancora una volta tutti i musicisti dimostrano una padronanza degli strumenti sconvolgente ed una capacità di suonare in gruppo magistrale. Un po’ metal ma con divagazioni su un territorio atmosferico che dipinge paesaggi da sogno, con la title track. Rock frizzante con “Money Kills”, un brano relativamente semplice (secondo gli standard di questa band!), divertente che offre ottime linee vocali, con tastiere e basso semplicemente stupendi. Rock con uno sguardo al power metal su “Blessed Imelda” prima dell’assurda conclusiva “Opera”, una divagazione strumentale dove il titolo descrive alla perfezione la teatralità e la progressione del suono contenuto: heavy metal maideniano, con pesanti inserti symphonic metal in stile Royal Hunt… un sound che converge genialmente in una teoria jazz con un tromba favolosa, linee di basso sensuali… i quali invitano verso ulteriori evoluzioni epiche, rock e prog. Il contenuto tecnico di questo disco è travolgente, ma siamo davanti a musicisti che possono facilmente essere definiti maestri; quindi nessuno virtuosismo fine a se stesso e nessuna canzone ‘banale’ proposta come teatro di un assolo… piuttosto musica d’insieme ricca di idee, di improvvisazione, di divagazioni a 360 gradi che ridefiniscono il significato stesso di ‘genere musicale’.

(Luca Zakk) Voto: 9/10