coprhapsodyoffire2(AFM/Audioglobe) Finalmente, il nuovo album dei Rhapsody of Fire è nei negozi. Avevo già annunciato di aspettarlo con ansia recensendo l’ultimo live (QUI), prodotto che non mi aveva esaltato più di tanto. È inutile girarci attorno: per Lione, Staropoli e i fratelli Holzwarth questo “Dark Wings of Steel” costituiva la prova del fuoco… e i nostri, lo dico subito, escono promossi. Ecco, magari non sbancano il botteghino e non si prendono il bacio accademico, ma sono promossi. Alex Staropoli, principale compositore dei brani assieme al fratello Manuel, riesce nell’impresa di rinnovare (leggermente) il sound pur mantenendo le caratteristiche fondanti che hanno reso subito individuabile la musica dei Rhapsody of Fire: così abbiamo sempre l’epic symphonic Hollywood metal, o come diavolo vogliate chiamarlo, ma più cupo, più colorato di fosche note progressive (e in questa direzione andava già, per alcuni aspetti, il precedente “From Chaos to Eternity”). Scompaiono quasi del tutto le derive estreme degli ultimi due dischi, che pure non erano dispiaciute alla maggior parte dei fan; non c’è il brano di dieci (o più) minuti, la suite barocca e stracarica di note e passaggi operistici; e anzi alcuni momenti sono più classicamente heavy metal, nei suoni e nel mood… ma ripeto, alla terza nota tutti i trademark del gruppo si sono già resi presenti senza essere snaturati. In questa situazione, possiamo forse lamentarci se manca in scaletta una “Emerald Sword”, una “Reign of Terror” o un “Lamento Eroico”? Direi proprio di no, anche se davvero l’unica pecca del disco mi sembra l’assenza di un hit single – o, se volete vederla da un altro versante, la monolitica compattezza dell’insieme generale, quasi sempre attestato su tempi dilatati (almeno in relazione a quello cui i Rhapsody of Fire ci avevano abituato). Dopo un’intro sinfonica ma aggressiva, “Rising from tragic Flames” è un mid-tempo dall’aura epica, con chitarre molto più serrate e progressive del solito, ma il consueto e bel refrain aperto e infarcito di cori. “Angel of Light”, tranne per l’assolo di keys ancora tendente al prog, ha quell’afflato maestoso da fine di un disco, e forse il ritornello più potente della tracklist; al terzo posto in scaletta forse brucia un po’ del suo potenziale. Intensa e dirompente “Fly to crystal Skies”: ancora una volta i tempi sono medio-lenti, di nuovo le tastiere hanno un suono meno epicheggiante e addirittura a tratti anni ’70. Superba, dal canto suo, “My Sacrifice”, uno dei brani dove nel testo si intrecciano inglese e italiano, e dove i duelli di chitarra e tastiere mi hanno molto ricordato gli Stratovarius dell’era d’oro. “Silver Lake of Tears” ci dona (finalmente?) un po’ di velocità, mentre la ballad in italiano “Custode di Pace” ha davvero tutti i numeri per emozionare nel profondo, grazie soprattutto a delle chitarre acustiche veramente charmanti, sulle quali Fabio Lione dà libero sfogo alla sua ben nota vena branduardiana. La titletrack è forse il brano più legato alle sonorità del passato, mentre la conclusiva “Sad mystic Moon” unisce chitarroni pesanti a suoni orchestrali ammalianti, in un riuscito contrasto. Tirando le somme, possiamo dire senza dubbio che “Dark Wings of Steel” è la risposta, diretta ed eloquente, di chi voleva i Rhapsody of Fire in declino dopo lo split con Turilli: i nostri hanno certamente fatto di meglio, ma questa dimensione più oscura e pesante funziona alla grande.

(Renato de Filippis) Voto: 7,5/10