(Icons Creating Evil Art) Provate ad immaginare un mix assurdo, una incestuosa convergenza tra i Morphine e Chelsea Wolfe. Provate poi ad iniettarci del doom, magari in stile italiano ispirandosi anche a Death SS e Abysmal Grief, quelle sonorià un po’ dissacranti nel loro essere musicalmente ecclesiastiche. Aggiungete disagio, ulteriore oscurità e tanta malinconia dal sapore blues. Shaam Larein, ed altre due voci femminili (Linnea Hjertén e Nathalie Ahlbom), danno vita a questo viaggio nelle tenebre, regalando dannazione ma anche provocando, con immensa sensualità, materializzando musica ricca di potere teatrale, in equilibrio tra minimalismo e coinvolgente energia. In “Sculpture” si concentrano molte ispirazioni: non solo il doom e quella impostazione da horror di origine italiana, ma anche la provenienza svedese del progetto e, assolutamente non in secondo piano, le origini mediorientali della stessa Shaam. La teatralità, l’efficacia comunicativa, la tendenza ammaliante e remotamente tribale, nascono anche dalle origini artistiche di Shaam, la quale ha un passato come attrice (per il teatro itinerante del padre), oltre ad aver cantato sulla scena jazz. Brani come “Zaman” spiegano molto di questo contorto e sublime basamento stilistico, ma sono pezzi come “Aurora” e “Vulcano” che diffondono quella imponente energia che assale l’ascoltatore, ipnotizzandolo, seducendolo, dominandolo. Impulsi che vogliono sfuggire dalle tenebre per arrivare al rock si percepiscono con “Lunar Crater” ed il suo fascinoso ritornello, mentre la conclusiva “Traveler” è forse proprio il punto di unione di una così eclettica scuola espressiva, la quale diventa dolcemente diabolica e misteriosamente sciamanica. Un album da ascoltare con abbandono, da assaporare con avidità. Un album che rinchiude la mente in altre dimensioni, suggestionando, plagiando, affascinando.

(Luca Zakk) Voto: 8/10