copshinins(Moonlight Rec./ Masterpiece/Season Of Mist) Se ascoltate l’heavy metal e tutte le sue sfumature e avete anche una forte propensione per il rock dei primissimi anni ’70, e ultimi ’60, gli Shinin’ Shade sono per voi. Suonano per voi. Il tocco alla Tony Iommi, quello di Alvin Lee, ma narcotizzato, ovviamente bluesy & acid, poi l’attitudine tripolare della decadenza metallica odierna, tradotto doom/stoner/sludge, sono le coordinate principali del rifiing delle chitarre di Mek Jefrey e Allen Kramer, con la distorsione grossa, corposa, ma nitida e affiancata dall’eminenza nera e sepolcrale del basso di Roger Davis. La voce è quella di Jane-Esther Collins, dalla timbrica levigata e con buone alzate di tono. “Sat-Urn” è un lavoro solido eppure è dinamico perché scorre con sinuosa maestosità, corrodendo ogni cosa con i suoni e innescando sogni, ipnosi e sensazioni da visione. Sarebbe fin troppo facile accostarli a, per sonorità viziate, Blue Cheer e Pentagram o a realtà odierne, visto che le strutture viaggiano comunque su percorsi che spesso si rivelano imprevisti; però non servono i paragoni, del resto il genere è comunque derivativo. Piuttosto è il tipo di percorso che le canzoni stabiliscono: un’andatura marciante di qualche struttura dannatamente doom e stoner, contrappuntata dal rock “old glory” di stampo californiano e di quello ossianico inglese, oppure calate nelle tenebre di una psichedelia soffusa. Il tutto è tenuto insieme da una vera unità d’intenti, fatta di musicisti che si capiscono al volo. Quella tipica conciliazione artistica in cui gli autori stabiliscono, per una canzone, quando partire e quando darci un taglio, magari anche dopo molti minuti. In “Sat-Urn” si va dai 5’ e mezzo agli oltre 8’ a canzone. A benedire questa produzione c’è la consolle manovrata da Dorian Bones (Caronte) e il Moonlight Studio e l’omonima etichetta parmense (la stessa città degli Shinin’ Shade). Così il cerchio si chiude e, come al solito, è un cerchio perfetto.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10