(Joe Black Prod.) L’opener “Off the Record” ci mette di fronte a un alternative rock-pop abbastanza agile, vagamente collocabile nei paraggi dei Nickelback. La seguente “The Gardener of Eden” mette la marcia alle intenzioni della band, con un riff di basso ripreso più volte e una struttura non dissimile dalle altre canzoni e con spunti individuali interessanti. La successiva “Broken” è una ballad, dunque canzone intensa e malinconica nella quale la voce di Cristina Di Gregorio raggiunge l’apice, mentre la cura nell’arrangiamento è perfetta. Il trittico iniziale di “Escape” fotografa bene le possibilità e caratteristiche dei pescaresi che con questo primo album presentano i propri punti forti e quelli comprensibilmente da dovere cambiare. Dodici pezzi, compreso il remix del singolo “Walk Alone”, due canzoni dal vivo, una versione acustica di “Broken” e la cover della celebre “Can’t Help Falling” di Elvis Presley. Si familiarizza piuttosto in fretta con le canzoni, ma si apprezzano subito quelle lontane dal rock duro. In primis perché la voce della Di Gregorio è la punta di diamante e quando le canzoni sono costruite per mettere la sua gola al centro del tutto, la cosa funziona davvero bene. Un esempio è “Krypton”, anche se in “Can’t Help Falling” c’è da alzarsi in piedi e applaudire verso l’hi fi! La cantante ha voce, possiede il mezzo, tranne per quando deve alzare i toni nei pezzi molto rock dove ci sono situazioni per le quali la modulazione andrebbe controllata. Insomma, quando le si cuce la musica addosso, quando è la musica a darle il tappeto su cui camminare, va tutto bene. Ascoltando brani come “False Pretences”, quelli già citati o il remix del singolo, si troverà forse riscontro a queste opinioni. In fin dei conti i maschi del gruppo dovrebbero pur trovare degli accordi maggiormente adatti a quell’ugola, anche nei casi prettamente rock. Dispiace per la chitarra che spesso nei livelli è sotto rispetto alla sezione ritmica e risultando gracchiante per via della distorsione. Il basso di Daniel Panara è un elemento che si ritaglia molti spazi e momenti distintivi, ma per onestà verso la band, tutti i musicisti trovano dei momenti concreti nell’economia dei pezzi. I Shy Of A Spark come molte band giovani hanno margini per mettere in ordine e capire il proprio songwriting, tuttavia già in embrione e non aleatorio. Lavorando in futuro con mezzi diversi, in termini di studio e produzione, e scegliendo le canzoni giuste (cioè stabilire la giusta quantità), la band pescarese potrebbe conquistare in futuro una crescente notorietà.

(Alberto Vitale): 6,5/10