(Kelp Forest Rec.) È una pura questione associativa. Pensi allo stoner e pensi al sole, alla sabbia del deserto. Magari alla California e stati vicini di quell’assolata zona degli Stati Uniti. Sappiamo tutti che non è sempre così. Spiritual Beggars dell’inglese Michael Ammott ad esempio, o i tedeschi Colour Haze. “Skaarv” ti suggerisce caldo, sole e via dicendo, ma è stato registrato in Norvegia, a Giske e a Bergen ha avuto la sua dimensione definitiva, perché norvegesi sono gli Skaarv. Sound corposo, tonico. Basso e chitarre formano un wall of sound, o forse una sorta di orchestra elettrificata che suona con armonia dalla prima all’ultima canzone. Base ritmica solida, del basso si è detto, delle pelli c’è da dire che il suono appare un tantino compresso, forse sommerso dagli altri strumenti. Ad ogni modo Arne Martin Harnes fa il suo lavoro con onesta e robusta tenacia. Canta André Iversen Péter, voce roca, enorme, rabbiosa. Nove canzoni dal minutaggio variabile, con “Culling in the Mist” che raggiunge i 7’40”. Forse un po’ troppo lunga, ma almeno necessaria a capire le sfumature che lo stoner degli Skaarv riesce a raggiungere. Doom, a più riprese, variazioni in toni sludge e un certo rock cavalcante che di tanto in tanto si mette in mostra. “Buried in the Sea” ne è uno spaccato di queste tre situazioni. Niente male “Prey”, opener svelta, arrembante e ‘californiana’ in fatto di stoner. Album non statico in fatto di stile, sound imponente e tutto sommato bello e dagli orizzonti inattesi, come “Horizon” appunto, strumentale conclusiva dai toni elegiaci e un mellotron (o qualcosa che gli somiglia) a celebrare il congedo dall’ascoltatore.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10