copskylark(Underground Symphony) I metalheads italiani nutrono di norma un odio feroce nei confronti degli Skylark: la formazione milanese, che ha mietuto successi soprattutto in Giappone, è infatti spesso accusata di dilettantismo musicale e di eccessive concessioni a sonorità pop e commerciali. Ho seguito Eddy Antonini & compagni in modo troppo saltuario in questi anni per poter dare un giudizio equilibrato: ma ricordo certamente che agli esordi symphonic power seguì una fase di ‘allegerimento’ che mi fece perdere interesse nei confronti della band. Giunti al ventennale di attività, i nostri dichiarano lo scioglimento: la Underground Symphony li saluta pubblicando l’ultimo album – che inverte il titolo del primo: da “The Horizon and the Storm” si passa a “The Storm and the Horizon” – in un gigantesco packaging che comprende addirittura altri tre dischi (!), per uno ‘spaventoso’ totale di sessantaquattro brani… Dato che le informazioni del promopack sono pochissime, vediamo di fare anzitutto un po’ di ordine. L’album di inediti conta diciotto tracce: ma non è tutto materiale nuovo, perché ci trovano posto anche ri-registrazioni (ad esempio della splendida “Another Reason to believe”, da “Wings” del 2004), cover (ad esempio di “Santa Fe” dal primo disco solista di Bon Jovi) e altre particolarità (credo ci sia anche una versione metal della sigla originale di Mazinga Z…). La presenza di ben quattro canzoni in giapponese lascia ben capire a quale fetta di mercato si stiano rivolgendo gli Skylark: e in modo oggettivo mi sento di poter dire che la maggior parte dei pezzi non possono essere giudicati metal, e suonano effettivamente semplicistici e raffazzonati, con melodie pop a tratti stucchevoli, nonché una produzione non all’altezza. Davvero povera e scontata, ad esempio, la coppia di testa “Eyes”/”The Kiss that never happened”; “Just one Word (to fall in Love)” è pop anni ’80, noiosa e monocorde “Don’t know what you got”. Il punto più basso è certamente la quattordicesima traccia (titolo e cantato in giapponese), meno che musica di uno spot pubblicitario. Il secondo disco costituisce una sorta di versione estesa dell’ep “Eyes”, uscito l’anno scorso: anche se non riesco bene a capire il criterio della scelta dei brani, perché, stando almeno alle informazioni dei Metal Archives, alcuni dei pezzi pubblicati nella prima stampa non si trovano nella seconda… in ogni caso siamo qui in presenza essenzialmente di cover, versioni alternative o remasterizzate (della suite “Little Girl”, dall’esordio), e altre rarità. Dunque si tratta di un cd che potrà interessare quasi esclusivamente i die hard fan della band. Il terzo disco (“Divine Gates Part V Chapter I”) è la riproposizione, con due brani in più, del primo disco di un greatest hits già apparso nel 2013; anche in questo caso stupisce la differenza di qualità (e di livello di produzione) fra i vari brani. Il package si chiude con la versione, interamente risuonata, di “Dragon’s Secrets”, secondo disco della band uscito nel 1997: un buon prodotto, forse un po’ datato, di symphonic power metal dall’epoca d’oro, in cui spicca la corposissima suite “Light”. In realtà viene anche da chiedersi il motivo per cui il fan che voglia ascoltare il farewell album debba beccarsi obbligatoriamente questo mammuth, magari costituito in larghissima parte di cose che ha già… per motivi che mi sembrano abbastanza evidenti, dopo questa lunghissima disamina trovo che la cosa migliore per me sia sospendere il giudizio. Chi ama gli Skylark si farà certamente questo grosso regalo; i detrattori saranno spaventati anche dalla mole e dal prezzo dell’opera. Di certo, i milanesi faranno parlare di sé anche stavolta.

(René Urkus) Voto: sv.