(Nuclear Blast Records) Mi trovo sempre combattuto quando ascolto una band come i Soilwork: da thrasher incallito quale sono, fatico a riconoscere la band svedese come quella che ha creato dei capisaldi di thrash/death svedese come “Steelbath Suicide”, “The Chainheart Machine” e “A Predator’s Portrait”. Da amante della musica a trecentosessanta gradi non posso che riconoscere ed ammirare l’evoluzione di questi musicisti, capaci di reinventarsi album dopo album. L’uso massiccio di melodie, clean vocals e, ora più che mai, parti acustiche riesce ad arricchire di sfumature un sound che rifiuta di essere imbrigliato in generi, cliché e stilemi vari, riuscendo a rendere i pezzi ora più omogenei, ora più ricchi di contrasti. Questa dodicesima fatica della band capitanata da Bjorn “Speed” Strid riesce a far coesistere nello stesso brano ritmiche serrate, sonorità e strumenti folk, melodie allegre e solari su testi pessimisti ed oscuri. È ben evidente una forte vena progressiva e rock anni ’70, quasi a creare un punto di contatto con The Night Flight Orchestra, altro progetto capitanato da Strid. Un ritorno di spessore per una band coerente nel saper evolversi senza snaturare il proprio stile.

(Matteo Piotto) Voto: 9/10