(Time Tombs Production) Primo album per questa band francese che dedica le tematiche del proprio album alla fantascienza. Di fatto l’album è un concept che si ispira alla tetralogia di romanzi “I Canrti di Hyperion” di Dan Simmons. Sono temati che ben si sposano con il genere proposto dalla band che è si black metal ma dai connotati melodic, epic e atmospheric oltre a derivazioni anche neo-symphonic. La temperatura che governa il tutto è piuttosto fredda, nel senso che l’epicità di questi discorsi musicali quanto testuali, immergono l’ascoltatore verso sonorità space-atmospheric, come per “The War Lovers”, dove l’elettronica emerge in maniera dilatata e da rendere il tutto ancora più straniante. Il tocco d’inserimento del sassofono in alcuni passi dell’album, resta un buon elemento che allarga quel senso di sperimentazione alla quale i Sol Draconi Septem si abbandonano. Una dimensione cavernosa, appunto fredda, che si estende verso l’orizzonte e nel quale le melodie hanno toni soprattutto epici, le quali però si perdono anche nelle strutture dei pezzi che ad onor del vero sono mutevoli e cangianti. “Hyperion” possiede molti aspetti interessanti, con momenti sonori desueti che lo rendono qualcosa che va oltre il black metal. Si potrebbe parlare di avant-garde, pur ammettendo che l’impressione finale è quella di avere sentito troppo. L’album sfiora i settanta minuti a causa di un songwriting a tratti ridondante. Nell’album sono ospiti Bornyhake (Borgne), A.K. (Merrimack, Decline of the I) oe il narratore Quentin Foureau.

(Alberto Vitale) Voto: 7/10