(Emanzipation Productions) In questo 2022 Paul Speckmann compirà 59 e a sentirlo ancora così sicuro di se e padrone della propria creatività è rinfrancante. Nel 2022 e dunque dopo gli eterni Abomination, i magistrali Master e tutte le altre sue iniziative e collaborazioni tra l’altro ancora in piedi, viene difficile pensare che Paul Speckmann possa creare qualcosa di artisticamente nuovo. Tuttavia di valido certamente si. Aveva già pubblicato un album come solista nel 1991, intitolato proprio Speckmann Project. Vi suonarono con lui Aaron Nickeas, altro degli Abomination, e il chitarrista Jim Martinelli. Per questo secondo album che alza gli scudi e sprigiona una miscela niente male di death, thrash metal e punk, Speckmann arruola lo svedese Rogga Johansson (Paganizer e decine di altre band), con il quale condivide appunto il duo Johansson & Speckmann. Inoltre Kjetil Lynghaug, chitarrista solista, altro elemento di spicco di diverse realtà come Paganizer e Ribspreader, nonché il batterista Jon Rudin dei Wombbath. La voce e il basso di Speckmann sono dunque circondati da grandi profili. La musica di questo lavoro non è farina del sacco di Paul Speckmann, il quale si è occupato dei testi. È Rogga Johansson ad avere scritto la musica e la pure registrata insieme a Lynghaug e Rudin. Il tutto è stato poi inviato a Speckmann, il quale vive da anni in Repubblica Ceca, dove vi ha inserito il suo cantato. Il tutto poi è finito in Norvegia per la definitiva fase di mixaggio e processi conclusivi. La Emanzipation si è accordata con il musicista titolare del progetto per questo album e un altro nel 2023. Dunque un nuovo Speckmann Project non tarderà ad arrivare, come è accaduto per questo secondo lavoro. Album sfrenato e con una buon carico di assoli da parte del buon Kjetil Lynghaug. I riff ritmici sono appunto una vera elaborazione del death quanto di cavalcate thrash metal spesso irrobustite da un’attitudine veramente punk. Uno schema in calce che non vieta dinamismi, che prevede accelerazioni o cambi di passo. Meno ‘svedese’ del solito il suonare di Johansson, anche per via di un drumming più asciutto di quello che si possa pensare. “Fiends Of Emptiness” è una cavalcata davvero sfrenata ed essenziale, dove ognuno dei musicisti bada davvero al sodo nel proprio ruolo. Dunque non un vero album personale di Paul Speckmann, tranne per i temi, tutti anti-religiosi, di opposizione e critica ai governi nel mondo. A riguardo della musica e su come è nato questo album, è indicativa una riflessione fatta da Paul Speckmann: «Secondo me, Kam Lee, Chuck Shuldiner e io abbiamo preso l’incudine e abbiamo forgiato la strada a un nuovo genere musicale, influenzando gli scandinavi, gli inglesi e gli americani con questa nuova direzione. Quindi ovviamente le influenze del primo death metal – come hanno continuato a chiamarlo – sono qui, ma le canzoni sono più brevi e al punto che la prima uscita di Speckmann Project aveva delle tracce lunghe e prolungate!». Tutto chiaro!

(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10