(This Is Core) Abili gli Stonewood a presentare il proprio stoner, suonandolo con riflessi grunge, hard rock e seventies, componenti affatto estranee o nuove al genere. Dunque è il modo chiaro e limpido in cui i Stonewood suonano a ben impressionare. La produzione spartita tra Pierangelo Ambroselli e Luca Spisani ha di certo ha aiutato, del resto quanto è importante per dei musicisti avere delle mani che sappiano lavorare in uno e più studio (Ambroselli ha registrato e masterizzato a Roma, mentre Spisani ha missato vivino Firenze)? La risposta è fin troppo scontata, ma inequivocabile. Primo album dal 2015, l’anno di nascita, aperto con la coinvolgente “Down from the Stars”, ritmata e sublime nella sua allegria. “Out of Sight”, “Bluestone” e “China White” sono il regno della pesantezza, dello stoner dominato dai fuzz, wah wah e da suoni e modi piuttosto Kyuss, ma in una maniera appunto regolare, pulita e con i cinque musicisti pronti a esprimere se stessi. Gli assoli e fraseggi emergono spesso nei pezzi, oltre alla voce di Vito Vetrano, un’ugola a tratti vicina a quella di Eddie Vedder, con un timbro più nitido. Apprezzabili anche “Space Goat” e “Party Crasher”, nelle quali l’elemento grunge è maggiormente sostenuto, tra suoni gonfi, ridondanti e pieni. I pezzi che costituiscono “Stonewood” sono otto e uno ad uno riescono a spostare in avanti la vita dell’ascoltatore di trentotto minuti, lasciando la sensazione di avere sfrecciato su una Mustang attraverso il deserto… o forse tra le assolate rovine del Circo Massimo.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10