(Black Widow Records) Nonostante si tratti di una band in circolazione ‘solo’ da trent’anni, The Black è indubbiamente una pietra miliare del metal italiano. Il suo mastermind, Mario Di Donato (ex Unreal Terror e ex Requiem) non smette di condurre questa proposta occulta e pregna di deliziosa e progressiva malvagità, nonostante i dieci anni trascorsi dall’ultimo lavoro e nonostante la sua vita si stia affacciando al settimo decennio. Ecco quindi che arriva ‘l’arte del metal’, il nono intenso e provocante album, un lavoro monumentale composto da dodici suggestivi brani, rigorosamente cantati in latino. “Ars Metal Mentis” contiene canzoni, certo, molta musica, indubbiamente… ma è un album che va affrontato più come un rituale che come un normale disco metal. Quella collisione tra heavy metal di matrice classica (Black Sabbath in particolare), rock progressivo (quello italiano) e tendenze ricche di inquietudine liturgica, non può essere classificata come un qualsiasi album metal, storico o moderno, firmato da grandi o meno; qui siamo davanti a qualcosa di più spirituale, più intenso, non semplice rappresentazione teatrale di concetti… piuttosto si tratta dell’abbracciare un culto, un credo, una spiritualità. Concepito dalla nascita per il vinile (non a caso i brani si dividono in “Caput I” e “Caput II”), l’album si pone subito minaccioso con l’organo dell’intro “Praesagium”, prima di addentrarsi nelle decadenti ma brillanti melodie di “Marius Donati”, brano auto proclamante che mette subito in mostra la nuova line up con il bassista Cristiano Lo Medico, il quale si mette in evidenza accentando in maniera sublime il brano. “Decameron” è tra il provocante e l’heavy intenso, con ritmi ed atmosfere che riportano alla mente gli Iron Maiden. Tenebre con la bellissima e contorta “F. P. Tosti”, molto doom su “Mala Tempora”… cosa che si intensifica su “Lupi Fortes”. Doom che vira verso il prog con la title track, un prog che accelera richiamando nuovamente in causa sia Iommi & co che il metal più classico con “Museum”. Marziale “Immota Manet”, ancora heavy brillante con “Cerbero”, un brano con un finale sconvolgente, prima dell’organo superlativo della conclusiva “Aternum”, pezzo nel quale si strizza l’occhio ai Goblin e ad una certa gloriosa tradizione italiana. Occultismo. Misticismo. Oscurità dannata ma anche un luce… benedetta. Un’esperienza bizzarra, destabilizzante, ricca di forza pulsante e di poetica energia peccaminosa.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10