(InsideOut Music) Instancabile il chitarrista svedese Roine Stolt, classe ’56, con alle spalle una vasta carriera, sia solista che con varie bands, principalmente nel progressive rock (ad esempio i Kaipa). Ma è proprio la sua carriera solista che diede vita ai The Flower Kings, successivamente al suo album “The Flower King” del 1994. Quel disco solista trasformò la band dal vivo in una vera band, la quale in venticinque anni ha sfornato ben dodici dischi in studio (più quelli dal vivo) precedenti a quest’ultima fatica; un’ultima fatica che è quasi una rigenerazione dello stesso gruppo, visto che l’ultimo full length, “Desolation and Rose”, risale al 2013… se non prendiamo in considerazione “Manifesto of an Alchemist” del 2018, il quale però uscì con il moniker Roine Stolt’s The Flower King. La rigenerazione di qui sopra è dovuta dalla ripresa delle attività, da due nuovi membri (Zach Kamins alle tastiere e Mirkko DeMaio alla batteria)… e una pubblicazione amplificata, ovvero un doppio album contenente ben quindici brani i quali coprono quasi un’ora e mezza di rock progressivo dall’inconfondibile sapore settantiano. È lo stesso Stolt a spiegare il contenuto: puro prog rock, con tante tastiere vintage, batteria con tempi dispari, lunghi assoli, elementi pop, rock, prog e sinfonici. Rivelando questa sintesi, poi, Roine cita Pink Floyd, Vangelis, Beatles, Cream, Abba, King Crimson e vari altri. Tutto vero, anche se io aggiungerei gli Yes, una innegabile ispirazione. “Waiting For Miracles” è un ottimo album, ricco di dettagli, un disco che esprime appieno le immense capacità dei musicisti… ma si tratta di un prog un po’ troppo pop, un po’ troppo amichevole; non ci sono quelle divagazioni che fanno attorcigliare i pensieri nel cervello: ogni esibizione tecnica è confezionata in maniera fruibile, educata, compatibile anche con un ascolto non impegnato. I titoli che semplificano la teoria, rendendola fruibile, sono ad esempio “We Were Always Here” (che strizza l’occhio a Ayreon) o una “The Bridge”, che di fatto è un brano poco impegnativo contenente un assolo stellare. Sublime il feeling anni ’70 di “Sleep With The Enemy”, mentre titoli come “Spirals” rivelano una completa libertà compositiva e creativa. Ovviamente la band di Roine Stolt ama sorprendere, quindi non mancano esibizioni superlative, come la favolosa “The Rebel Circus”, le tastiere immense di pezzi come “House Of Cards Reprise”, il gusto cosmico di “Ascending To The Stars”, o l’avvolgente atmosfera di “Steampunk”. Non ai livelli di “Stardust We Are”, “Flower Power” o “Unfold the Future”, ma è palese quanto lavoro, quanta tecnica, quanta musica siano racchiuse dentro “Waiting For Miracles”. Un disco intenso, per chi ama il prog ma anche per chi ci si vuole avvicinare per la prima volta, senza esserne travolti con focosa irruenza.

(Luca Zakk) Voto: 8/10