(Season of Mist) Provenienti dal Missouri, questa combriccola di musicisti che si fa chiamare The Lion’s Dauhgter, pesca l’ispirazione per il proprio metal da più fonti, affiancandovi poi dei sintetizzatori per rendere spettrale e insolita l’atmosfera. Il metal dei The Lion’s Daughter può essere grind, black, sludge, ma è pur sempre di colore grigio, con momenti che si avvicinano ad atmosfere industrial o Neurosis ma in una versione amorfa, come in “Call the Midnight Animal”. Proprio le atmosfere, l’ambientazione e l’aria che tira in questi pezzi, sono il perno centrale del sound dei The Lion’s Daughter. Suoni potenti, le tenebre che si avvolgono ai suoni, la voce rabbiosa e filtrata di Rick Giordano, creano uno scenario orrido, allucinato. In alcuni momenti c’è la sensazione di sentire il peso di una società divorata da disastri e sconvolgimenti epocali. Si avverte l’inquietudine e l’angoscia dilagante dei giorni nostri, in questi trentacinque minuti e oltre. Le chitarre di Giordano sembrano il più delle volte scarne, il basso di Scott Fogelbach è un’anima dilatata, un mantra onnipresente, con il quale Erik Ramsier scansiona i suoi ritmi. Bellissima la quasi strumentale “The Gown”. La fiumana di durezza e ansia non permette ai pezzi troppi sviluppi, salvo per gli interventi dei synth. Unici veri responsabili di variazioni significative nelle trame di “Future Cult”. Queste variazioni e lo strutturare dei pezzi sono fin troppo limitati dal grumo di odio e malessere; occorrerebbe qualche venatura in più per permettere alle idee di circolare nelle strutture. Non mancano dunque situazioni dinamiche, come “Die into Us”, “Tragedy” e “Cult the Midnight Animal”, ma qualcosa in più nelle canzoni sarebbe auspicabile in futuro.

(Alberto Vitale) Voto: 7/10