(Ván Records) Oscurità. Devastazione. Tendenze tetre ricche di dannata perversione. Il sesto album dei tedeschi The Ruins Of Beverast, one man band ormai elevata allo status di full line up, è pura, totale, perfida e sublime desolazione. La musica di questa band è il black metal. Ma c’è da dire che non è affatto black metal. È sicuramente sperimentale, anche se spesso si torna a livelli ai confini con l’underground. C’è dark wave, ma è molto più tetra della dark wave. C’è teatralità e divagazione esotica, ma forse si tratta più death metal condotto all’estremo. “The Thule Grimoires” è un album da assaporare con piacere sadico, un album che si insinua nella psiche, nelle vene, nelle carni… un opera monumentale, poderosa, totalmente avvolgente, un abbraccio gelido al quale è impossibile sfuggire. Crudele la lunga opener “Ropes Into Eden”: tra sfuriate disumane sovrastate da arpeggi dissonanti ed ambientazioni cinematografiche dal fortissimo potere evocativo. Marziale ma anche cosmicamente inquietante “The Tundra Shines”, black metal che si avvicina a teorie psichedeliche, post industriali senza tralasciare una tendenza malignamente epica. Immenso capolavoro “Kromlec’h Knell”, un brano nel quale quella dark wave viene esaltata, avvicinandosi al senso gotico di alcune epoche dei Paradise Lost, il tutto annegato in una impulsività estrema tanto destabilizzante quanto emozionante. Rituale ancestrale dal sapore digitale su “Mammothpolis”, teatrale ricongiungono con ideali goth/dark. Quella teatralità assume dimensioni più contorte, più feroci e più siderali su “Polar Hiss Hysteria”, prima dell’imponente, lunghissima e conclusiva “Deserts To Bind And Defeat”, un brano tagliente, ricco di linee vocali che fanno riecheggiare Tiamat e, nuovamente, Paradise Lost, per poi ritrattare il tutto, rinnegare il tutto ed abbandonarsi ad un black & death fedele agli inferi; e quanto tutto sembra perduto, voci angeliche fendono l’etere prima di introdurre nuovi blast beat selvaggi, riconducendo tutto alla sintesi di una violenza primordiale ed un epilogo tra il rituale e lo scenografico. Sette brani che girano attorno figure senza materia, dissolte nello spirito, condannate all’eternità e potenziate dalle superbe forze ancestrali di madre natura. Un album desolato, arido, brullo, meravigliosamente ostile, divinamente dissacrante, brillantemente privo di qualsiasi forma di luce.

(Luca Zakk) Voto: 10/10