(Dissonance) La Dissonance si è lanciata da diverso tempo in un’ampia opera di ristampe, spesso con cofanetti affatto lussuosi o dal confezionamento esclusivo, al contrario sensibilmente interessanti o importanti nel contenuto. Tocca adesso a una più che discreta realtà black metal svedese nata nel 1994, inizialmente come Primordial, poi divenuta molto presto Thy Primordial. Il primo album “Where Only the Seasons Mark the Paths of Time” venne inciso nel 1997 e questo lavoro è uno dei quattro CD che compongono “The Blackened Years”, che esclude il secondo e terzo album della band, ma implementa “The Heresy of an Age of Reason” (2000), “The Crowning Carnage” (2002) e “Pestilence Upon Mankind” (2004). Il primo album e gli ultimi tre, quattro CD che tracciano inevitabilmente un cospicuo insieme. Quando i Thy Primordial arrivarono alla fine della propria carriera, dei membri originari c’era Jonas Albrektsson, bassista e già parte dei Retaliation, e il batterista Morth, ovvero Jocke Pettersson, anche nei Regurgitate. Quest’ultimo si è poi reinventato produttore e soprattutto ingegnere del suono, aiutando non poche band dietro la consolle. Nel 1997 i Thy Primordial espressero un black metal ferale, freddo, non dissimile nei toni dai primissimi Marduk o Dark Funeral. Chitarre tremule, ronzanti nelle distorsioni, proprio come una volta il genere imponeva. La costruzione melodica e concettuale dei pezzi in “The Heresy of an Age of Reason” cambia. I suoni non sono il frutto di un impasto, ma di più livelli che si sommano e senza incollarsi. Tratti epici più consistenti, vagamente Satyricon, questo però solo per le melodie. Anche il drumming inizia a cercare soluzioni continue, differenziando ogni pattern e rullate di stacco. “The Crowing Carnage” è la pubblicazione più oscura tra le quattro. Nonostante il songwriting proponga anche in questo album un certo numero di variazioni, la scelta di accelerare il dovuto, stoppando a ripetizione con nuove entrate sia del riffing che dei ritmi, il sound ha così qualcosa di crudo, oscuro e probabilmente meno affinato rispetto al precedente album. “Pestilence Upon Mankind” invece segna una scelta nettamente più spinta nel songwrting, con un black metal che presenta progressioni devastanti e, all’occorrenza, in fin dei conti manco lontane dal death metal, per quanto poi i Thy Primordial restino una black metal band. C’è furia, c’è un uso del blast beat più marcato, nonostante si punta ad arricchire in maniera centellinata l’intero songwrting. L’ultimo album della band ha quanto meno una maturità definitiva e suggella una carriera che ha visto i Thy Primordial tra i ‘minori’ del genere, ma non necessariamente i meno bravi.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10