(Napalm Records) Emozioni. Sensazioni. Musica che va oltre quel suo concetto fisico riducibile a sequenza di onde sonore. Tiamat: una band, o meglio una mente, quella di Johan Edlund, contorta. Contorta e stravagante, deviata, assurda, come il personaggio stesso. Johan, artista che ha saputo condurci verso le sue fantasie, attraverso le sue manie, dentro le sue deviazioni. Ironico. E’ sempre stato ironico Edlund. Nelle interviste, nella sua immagine, nella stesura dei testi. Per farsene un’idea basta leggere il testo della opener dell’album precedente, “Amanethes”, la quale presenta in maniera tragica una giustificazione per il quinquennio di silenzio della band. Ed ora arriva “The Scarred People”, il quale avrebbe bisogno di un’ulteriore giustificazione, considerato che sono passati altri quattro lunghi, infiniti, ed oscuri, anni. Ma il tempo non sembra influenzare i Tiamat. Sono sempre gli stessi. Appaiono sempre uguali. Creature dannate al diavolo, che ricevono in cambio il dono dell’eterna giovinezza, dell’infinita creatività. Ogni appuntamento sembra rinvigorire il loro sound, offrendo ai fans il passo successivo, che appare immediato, come se gli anni precedenti si disintegrassero, si annullassero, un iperspazio sonoro, dove ogni album offre energia cosmica sufficiente per trasportare l’ascoltatore verso il nuovo appuntamento.  “The Scarred People” è un album ipnotico, mai veloce, mai pesante. La voce sensuale di Johan conduce lungo gli undici pezzi con oscura dolcezza, viaggio tra esperienze di erotismo sonoro, dove degli arrangiamenti sofisticati offrono momenti di totale estasi, dove la sensazione di viaggio attraverso terre lontane, dimensioni remote, sogni proibiti, è molto intensa, penetrante, avvolgente. La genialità compositiva di Johan riesce ad integrare tutte queste emozioni in pezzi assolutamente catchy, capaci di lasciare il segno sin dal primo ascolto. “Radiant Star”, un pezzo monumentale, drammatico, triste, potenziato da un supporto di archi impressionante. Atmosfere da sogno mescolate a rock gotico, musica elettronica, sinfonica, psichedelica. Influenze Pink Floyd, deviazioni blues, come nella bellissima “Messinian Letter”. Malinconia e note struggenti su “The Sun Also Rises”. Un riassunto della carriera della band, evidenziato da pezzi che richiamano al passato, come l’emozionante strumentale “Tiznit”, integrata da suoni naturali i quali non possono non far ricordare “Wildhoney”. Non mancano i momenti pieni di energia, dove la chitarra è dominante, come su “Winter Down”. Non mancano nemmeno i pezzi potenti, melodici, sostenuti da un’impeccabile ritmica, come percepibile su “Love Terrorists” e sulla title track, prima traccia, create pe catapultare con estrema determinazione l’ascoltatore nel viaggio rappresentato dall’opera. Un album che cresce ascolto dopo ascolto. Che si rivela riproduzione dopo riproduzione. Un fiore che sboccia sensualmente, lentamente, giorno dopo giorno, con l’arrivo della primavera, con la soffice carezza dei raggi di un sole timido, romantico, caldo.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10