(Century Media Records) È indubbio che i Celtic Frost sono una delle realtà più interessanti del metal sin dai loro esordi. E uso il presente perché se si ascolta “To Mega Therion” oggi, a distanza di 35 anni vi si riconosce ancora tutto lo spropositato genio del gruppo svizzero… ma anche perché i Celtic Frost esistono ancora. Si chiamano Triptykon e di fatto hanno continuato quanto mister Warrior aveva solo momentaneamente interrotto con “Monotheist”. Da allora, due perle uscite rispettivamente nel 2010 e nel 2014. Album di una complessità e di una profondità uniche nel loro genere, che non hanno fatto altro che confermare una tesi che con “Monotheist” si poteva solo ipotizzare: man mano che la mente dietro ai progetti è maturata e invecchiata ha parallelamente sviluppato una sensibilità fuori dal comune per la melodia oscura. Semplici note, in grado però di infondere strani sentimenti in chi le ascolta. “My Pain” e “Aurorae”, ad esempio: quasi elementari nella sua esecuzione e struttura, eppure forse le canzoni più malvagie e oscure partorite dalla mente dello svizzero. A suggellare ancora di più questa continuità artistica, ecco questo disco; di fatto un nuovo album. Tre tracce, di cui solo la parte centrale completamente inedita… ma veniamo con ordine. Il progetto “Requiem” parte nel 1987 con una traccia quasi a chiusura di “Into The Pandemonium”, per poi riapparire come una misteriosa traccia conclusiva di una terna sonora in “Monotheist”, quasi trent’anni dopo. Sì, ma… il capitolo due? Ecco il perché di questo lavoro qui recensito. Registrazione dello spettacolo tenutosi nel 2019 al Roadburn Festival assieme alla Metropole Orkest, il disco, qui recensito nella sua parte sonora e visiva, è una testimonianza dell’unica occasione dove tutti e tre i capitoli sono stati suonati nella loro interezza. Il primo capitolo è riproposto per la verità in forma molto simile all’originale, facendo sentire la presenza dell’orchestra solamente dalla metà del brano in avanti e soprattutto sottoforma di un leggero ma persistente sottofondo. La seconda parte, perfettamente amalgamata con la prima, è una lunga suite avant-garde rock che a tratti è più accostabile alla musica moderna che non al rock. Si sente la presenza massiccia dei Triptykon, eppure sembra che si sia fatto un ulteriore passo avanti nell’evoluzione della loro carriera artistica. Musica da intenditori, suonata perfettamente, immersa in un ambiente in cui il pubblico resta in totale contemplazione, facendo dimenticare all’ascoltatore che si è di fronte ad un live. Per la parte finale, vale il discorso fatto per il primo capitolo: si è rimasti piuttosto aderenti all’originale, senza stravolgere l’atmosfera generale, ma soprattutto mantenendo la continuità con la parte precedente. Il comparto video risulta buono, con delle riprese che hanno lasciato più campo alla visione generale piuttosto che ai singoli professionisti in gioco, contribuendo così a rendere ancora maggiormente l’idea che si è di fronte ad un’opera unica, da farne esperienza nella sua interezza e unicità. Cosa ci riserveranno in futuro i Triptykon, ancora non è dato saperlo; ma loro sono una delle ragioni per cui ascolto metal.

(Enrico Medoacus) Voto: 10/10