copTYRANT(autoprodotto) Mi immagino di essere fuori da un locale dove suonano dal vivo, uno dei tanti. Li in mezzo alla mandria di devastati che escono a fumare (beati i tempi dove ti intossicavi pacificamente a ridosso del palco….). Sei li che ti fumi la sigaretta e arriva il solito tizio sconvolto, mimetizzato dentro una felpa dei Motorhead, -hey boss, c’hai da accendere?- e ti chiede pure chi suona dentro… e cosa fanno. Tu sei li, fumi, bevi, e devi anche ricordare -ma non ci riesci- il nome della band, quindi rispondi “fanno una specie di Motorhead, un po’ heavy metal, ma con qualcosa di southern”. Il tizio non ha capito nulla di questa definizione anonima che classifica la band. Però, anche se anonima, non si allontana molto dalla realtà. Che poi si tratti di ragazzi -ragazzi lo erano nel 1984- ovvero quando si formò originariamente la band, ha un significato particolare. I Tyrant infatti scomparvero dalla circolazione negli anni ’90, come molte altre bands, ed ora riformatasi (una quindicina di anni fa) con due membri originali, vede in line up gente matura, non più i ragazzini con il sogno della rock star; gente che torna a suonare, a creare, a comporre; e con quale scopo? Io credo, e non penso di sbagliare, si tratti di passione, amore, dedizione per la musica. Credo che ormai poco importi vendere milioni di dischi, tanto non lo fa più nessuno. Poco importa essere nuovo ed originale, tanto manco quello lo sa fare più nessuno. L’importante sembra essere agire con un obiettivo che io reputo essenziale: suonare ciò che piace suonare, e divertirsi facendo ciò che fa divertire davvero. Essere se stessi, in altre parole. Ed è così che guardo le foto di questi cinque rockers, devastati al punto giusto (il bassista è L’IMMAGINE del rock), veri al massimo livello. E godo leggendo un titolo di un disco che è una dichiarazione di lifestyle, che è l’essenza del rock: la tua bottiglia, la tua sigaretta e la tua chitarra. Il resto? Non ha importanza. Sulla copertina offrono un riassunto di questo vivere: c’è la birra, la chitarra, il microfono, l’amplificatore, le bacchette della batteria, la carta da gioco, l’armonica, il chiodo. E questi signori, secondo me, hanno l’esperienza per rappresentare tutto ciò, per rappresentare qualcosa che sta alla radice, che non può tramontare, ma che è difficile da far capire alle nuove leve. Ed allora si deve fare una sola cosa, ovvero sparare a tutto volume il disco. Un disco che potrebbe non esistere se fosse possibile sentirli suonare dal vivo ogni qualvolta lo si desidera, un disco che è il riassunto di tutto il casino, di tutta la follia, di tutto lo sfogo che la band vuole offrire, sbattendo l’ascoltatore tra metallo rifinito, metallo sconvolto, metallo southern fino ai confini del blues, ovvero delle radici, della genesi. “Painless” è infatti proprio metallo bollente. Fa male, nonostante il titolo. Molto male. “Are You Talkin’ (To Me)” è Motorhead con influenze NWOBHM. Sono aggressivi i Tyrant, ma sanno anche amare: la loro ballad, la loro ballad fottutamente southern, inizia come inizia e finisce un amore: con il rumore dello Zippo che accende quella sigaretta. Che pezzo! Che energia! E’ facile fare i cattivi, ma non è facile essere quasi dolci, paventando energia e quel pizzico di perversione. La suite “Like Motorhead” (in tre parti) è molto poco Motorhead, ma dannatamente metal. Un pezzo instabile, variabile, cattivo, potente, studiato, atmosferico, maledetto… dove le chitarre, quelle dannate chitarre, sanno farsi valere. Otto minuti di metallo che sfociano su “Nocturnal”: armonica e sudicio southern. Formula perfetta: barista, “un altro”! Il lato B (ops, è un CD, ma non posso non dividere questi pezzi in due lati… troppo vintage, troppo vinile….) è molto rock & metal, Motorhead, metallo, assoli, potenza. Ma è la parentesi aperta da “Midnight Dream” che coinvolge… siamo oltre il semplice southern evidenziato da quell’armonica… siamo su territori quasi seventies, dove la voce prende un’altra svolta, tra le varie attitudini dimostrate su il resto del disco. Una voce che spazia dal blues al rock, dal metal al southern, dal cattivo al tossico. Una voce che varia con l’alcol, che si intensifica con la nicotina, che cambia strada con l’umore del giorno. “You Said You Love Me” è ancora roba di altri tempi ed è suonata divinamente. Sconvolgente la conclusiva “Painless”, il reprise della opener…. un reprise capace di cambiare faccia alla canzone, rendendo la coppia di tracce il riassunto della variegata proposta stilistica della band. Ok, di solito qui siamo “puliti”, “riflessivi”, quasi “educati”, mai “eccessivi”. E’ un po’ l’essenza di fare giornalismo: non posso dirvi “cazzo che figata”, devo spiegarvi perché e come un disco è bello, ovvero una figata. Ma dei Tyrant ho il CD in mano. Sul retro vedo cinque brutti ceffi, e sulla scena ci sono più bottiglie di birre che persone. Ci sono sigarette, i tizi stanno tracannando, e quel Marshall che in foto è silenzioso me lo immagino a volumi volgarmente osceni. Ed allora, che cazzo vi devo spiegare? Sono i Tyrant, e suonano rock’n’roll. Lo fanno bene, dannatamente bene. Non conta se sono innovativi, particolari, diversi, unici. Loro suonano e la loro musica fa divertire! E’ gente da vedere dal vivo, perché sono brutti, sporchi e… fottutamente cattivi. Il resto? Non ha importanza, tanto non avete nulla da perdere.

(Luca Zakk) Voto: 8/10