(House of Mythology) La dimensione ‘Ulver’, questo percorso artistico che ha segnato profondi cambiamenti stilistici, pur mantenendo l’apprezzamento di molti fan della prima epoca, quelli legati al black metal. Album numero quattordici? Quindici? Questo senza contare i dischi ‘colonna sonora’, i live album, l’album di cover “Childhood’s End”, le compilation e i vari EP. Un nuovo viaggio verso territori inesplorati: un disco di musica elettronica dalla forte caratteristica ambient, sempre sognante, un equilibrio geniale tra ritmi lounge, idee etno, trip hop eterei e intensificazioni drammatiche. “Neverland” è un disco diverso dagli altri; prima di tutto -qualche sample vocale a parte- è un disco strumentale. Poi, le varie canzoni sono slegate, anche se incredibilmente unite, in modo tale da essere tutte figure uniche, immagini indipendenti rese suono… anche se quelle figure sono altresì tessere di un puzzle più grande, più esteso, più complesso, con quelle tessere indipendenti che diventano tutto ad un tratto l’una necessaria all’altra, l’una meccanicamente connessa all’altra. I pattern ritmici e gli arrangiamenti dei brani sono spesso super fruibili, anche se immensamente complessi, quasi figli della IDM (l’Intelligent Dance Music degli anni ’90, musica elettronica ricca di complessità ritmica e sperimentazione e, più da ascoltare che da ballare), mentre le divagazioni sonore materializzano melodie incredibili, suoni sensuali, divagazioni drammatiche, aperture ambient con suoni che provengono dalla natura: cosa che si percepisce già nella opener “Fear in a Handful of Dust”, dove l’atmosfera rilassata sembra essere accompagnata da un quasi-canto delle balene. Sublime il pianoforte su ritmica cosmica di “Elephant Trunk”, vibrante e incalzante “People of the Hills”, si fa digitalmente aggressiva “They’re Coming! The Birds!”. Geniale e fuori dagli schemi “Hark! Hark! The Dogs Do Bark”, super sperimentale “Horses of the Plough”, suoni avvolgenti e potenti con “Pandora’s Box”. La struttura lontana da ogni regola di brani quali “Quivers in the Marrow” evidenzia il libertinaggio creativo degli Ulver, mentre una “Welcome to the Jungle” si rivela moderna, elettrizzante, frizzante, un po’ etnica e desiderosa di scoprirsi e di scoprire. La conclusiva “Fire in the End” (titolo perfetto!) ci fa ritornare a degli Ulver più intensi, più ballabili, più ipnotici, più sognanti. In occasione del precedente album, “Liminal Animals”, dichiarai che un disco degli Ulver non è una tappa, non è un punto di arrivo: piuttosto è qualcosa che sfugge, forse un istante nell’universo, un fotogramma ben specifico, con la consapevolezza che domani potrebbe cambiare tutto, succedere di tutto, in modo totalmente imprevedibile. Ecco, questo è “Neverland”: sorprendente nel suo succedersi nella discografia della band di Kristoffer Rygg, composto da brani che tra loro intensificano questo avvicendarsi di cose inattese, impensabili, estremamente bizzarre, intelligentemente mutevoli.

(Luca Zakk) Voto: 9,5/10