copVardan(Moribund Records) Ossessivo, opprimente, soffocante. Un album di black metal spesso lento come la morte, pesante come un crocefisso, doloroso come una tortura. E freddo. Maledettamente freddo. La cosa sconvolgente è che non si tratta un lavoro proveniente dalla consueta gelida Scandinavia, ma dalla calda Sicilia: Vardan è infatti una one-man band che si sta rivelando decisamente grandiosa; in attività dal 1997 marca il traguardo del sesto album con un’opera di black fortemente orientato al depressive, quasi quaranta sconvolgenti minuti di maledizione, condanna, sofferenza caratterizzati da voce disumana, strumenti come contrabbasso, sezioni acustiche spietate, tastiere perverse. Sei pezzi, tutti di durata imponente (quasi sempre oltre gli otto minuti) che riescono a coinvolgere il pubblico, ad isolare la mente dell’ascoltatore che viene imprigionata in una dimensione di occultismo, emozioni, dolore e suicidio. Ogni traccia offre diverse variabili, sempre in costante evoluzione, come se ogni canzone contenesse diversi movimenti, uno per ciascuna delle fasi psicologiche che emergono, che si evidenziano, che si inseguono. Immensa “Luciferian Assault” con quel main riff ossessivo, capace di presentarsi con delle varianti, sotto mentite e corrotte spoglie, impostando i confini della canzone da parti tirate a sezioni supportate da tastiere piene di malvagità, da chitarre taglienti e malate ad una ambientazione sempre inquietante, costanemente violentata dalla perversa voce di Vardan. Monumentale anche “Goatcraft”, la traccia più lunga del disco, capace di riesumare sensazioni ed emozioni black metal tipiche delle origini; il pezzo si contorce, devia, torna, offende, adora, condanna. Il sound risulta in un certo senso sporco, ma è l’impostazione di quella particolare ambientazione, quel richiamo storico, quella descrizione sonora di freddo, desolazione, solitudine e morte. Ma un accurato ascolto rivela una registrazione perfetta, dove ogni singolo strumento -basso e tastiere inclusi- guadagnano la propria dimensione, la propria aura in un inferno di spiriti malvagi rappresentati da riff capaci di catturare, possedere, devastare. In un genere altamente legato alla terra di origine, una tale cinica perversione sonora è faticosamente associabile alla Sicilia. Una copertina perfetta, con una foto molto ben realizzata, capace di generare quel terribile presagio che poi si conferma durante l’ascolto di black metal vero, originale, black metal con un’essenza di negatività terribilmente percepibile. Un disco che contagia con pessimismo, crudeltà, voglia di fine, di epilogo esistenziale, di alienazione dalla vita.

(Luca Zakk) Voto: 8/10