copvirginsteele(SPV) Quando esce il nuovo album della tua band preferita sei sempre in fibrillazione: riusciranno i tuoi eroi a stupirti e coinvolgerti come in passato? I Virgin Steele vengono da un silenzio discografico di circa cinque anni, e “Black Light Bacchanalia” aveva lasciato la stragrande maggioranza dei fan (sì, anche me) abbastanza (se non del tutto) insoddisfatti. I samples di “Nocturnes” distribuiti in questi ultime settimane avevano lasciato ben sperare, e ci tengo a precisare subito che il nuovo disco cancella i “Bacchanalia” ed è certamente superiore anche a “Visions of Eden”. E almeno talune canzoni propongono un ritorno al passato che è, a tutti gli effetti, riuscito. Ma “Nocturnes” – parlo con i fan storici – vi piacerà davvero soltanto se terrete presente che siamo nel 2015, in un momento storico in cui sarebbe stato impossibile non dico replicare “Noble Savage”, ma forse neanche “Invictus”… “Luzifers Hammer” inizia il disco in modo potente e aggressivo: la struttura generale del brano è abbastanza simile a quella dei pezzi di “Bacchanalia”, con quel vago flavour progressivo e un cantato che va spesso sul falsetto, ma stavolta le chitarre di Edward Pursino sono ben presenti, piene e cattive. Davvero belle, inoltre, le armonie vocali della seconda parte della canzone. Nulla da eccepire sul riff di “Queen of the Dead”, brano composto originariamente nel 1986 per gli Exorcist, che anche riletto secondo i canoni del 2015 fa risuonare chiara la propria matrice anni ’80; la stessa origine ha anche la serrata “Black Sun-Black Mass”, che in questa forma ricorda da vicino le atmosfere del secondo “Atreus”. “Devilhead” è uno di quei brani che DeFeis ama definire ‘bluesy’, e la chitarra di Pursino lo segue molto in questo senso: ma non mancano comunque tastiere drammatiche e incalzanti. Per me l’apice del disco è “Demolition Queen”: nonostante la lunga durata, mi sembra l’unico brano davvero costruito secondo i canoni degli eighties (quindi, essenzialmente, su un bel riff di chitarra!), e l’unico davvero in continuità con lo spirito di “Noble Savage”. Infatti, anche se “We disappear” parte con un riff ancora più grezzo e istintivo, si evolve ben presto in una canzone dai tempi dilatati e dalle melodie sofferte – in ogni caso contiene il refrain migliore del disco. “The Plague and the Fire”, invece, raggiunge il massimo dell’oscurità che i Virgin Steele si siano mai concessi: un giro praticamente doom, un intermezzo quasi disperato di keys. Quindi arriva “Glamour”, che mi sembra indicativa del nuovo corso: la prima parte del pezzo è poca cosa (forse addirittura è anche un po’ confusa) rispetto allo spettacolo della seconda, con delle oscure armonie vocali che fanno correre più di un brivido dietro la schiena. La titletrack è molto vicina a “Visions of Eden”, con quello stesso mood triste e decadente; si chiude con la solennità di “Fallen Angels”, un’altra canzone fosca e cadenzata, stranamente aperta da un colpo di tosse di DeFeis. Voglio citare per completezza anche ciò che non mi è piaciuto: “Persephone” ha la prolissità dei brani di “Bacchanalia”, che talora sembravano non andare in nessuna direzione precisa; francamente noiosi anche i 7’30’’ della ripetitiva “Delirium”. Mi sento però di testimoniare che il calo di ispirazione di DeFeis & soci è superato: “Nocturnes” è un’ottima prova dei Virgin Steele di oggi nel contesto musicale di oggi.

(René Urkus) Voto: 8/10