(Everlasting Spew Records) Debut album che segue un EP e uno split con Atavisma per questa doom metal band di Minneapolis, USA. Autori di atmosfere allucinate, di ritmi blandi ma con cadenze mastodontiche e solenni, spezzate a tratti da blast beat irruenti. Il suono delle chitarre è aspro, tanto roboante e incline a una natura death metal. Voce che si presenta con un growl ombroso, torvo e non affatto spesso. “Descending Pillars” dura poco più di trentacinque minuti, nei quali gli statunitensi tinteggiano scenari che ricordano alcune cose noise, sludge e post metal degli anni ’90, come i Fudge Tunnel per esempio. Tuttavia Void Rot è un marchio ampiamente più tetro, più ombroso. Brani ovviamente di una durata sostenuta, la sola “Upheaval” tocca i tre minuti e mezzo, escludendo però il minuto e poco più del pezzo “The Weight of a Thousand Suns” che è un continuo arpeggiare che funge da introduzione alla conclusiva “Monolith (Descending Pillars Pt. II) di quasi sette minuti. I Void Rot pur distinguendosi per melodie mutevoli, lasciano percepire scenari e atmosfere simili in ogni anfratto dell’album. Nei pezzi si rintraccia solitamente una melodia portante con almeno due o tre variazioni, con la collaborazione dei repentini cambi dei pattern ritmici. Proprio “Upheaval” è un esempio immediato di quanto descritto. Doom si, ma con un’anima quasi sperimentale, con l’aggiunta appunto di trame sludge, scenari vagamente post metal e per un’anima all’incirca psichedelica. Il tutto è un modo per plasmare delle atmosfere torbide, vorticanti e che spingono l’ascoltatore alla deriva.

(Alberto Vitale) Voto: 7/10