(Prophecy Productions)Assurdi. Inconcepibili. Definiteli doom. Definiteli jazz. Definiteli avant-garde… ma… diavolo, questo trio canadese giunto alla terza prova, sconvolge tutto, scompigliando le carte sul tavolo da gioco, sorprendendo e rendendosi non facilmente descrivibili per davvero. Scenari superlativi, violini al posto delle chitarre, doppia voce (anche tripla o più), uno scenario apocalittico sublime, luminoso, tanto decadente quanto esaltante: “Death Cult” va oltre il metal, oltre la teatralità, oltre folk, jazz e qualsivoglia altra definizione usata per etichettare l’arte, la musica. L’album è parzialmente ispirato all’opera “De origine et situ Germanorum” (noto come “Germania”) di Publio Cornelio Tacito, ed in particolar modo alla parte che tratta i sacrifici umani delle popolazioni del Mar Baltico, con una visione della band che classifica il rituale come una cosa senza senso verso una dea che non risponde mai alle preghiere dei fedeli. Ed ecco che questa critica storica diventa tendenzialmente politica, tocca un’esaltazione dei lamenti della gente di ogni epoca verso le distruzioni, le violenze, le devastazioni sociali ed ambientali… cose che vengono ripetute senza sosta, di continuo, senza limitazioni… fino al punto di non ritorno. Ed infatti “Death Cult” si rivela dannatamente malinconico, incredibilmente decadente… con quelle e note di violino le quali -anziché brillare come stelle infuocate- si rivelano incisive e perverse come ballate ricche di una canzonatura verso l’assurda demenza umana. “Death Cult” regala violenza e rabbia, trionfale sofferenza, mestizia senza fine… il tutto in teorie folk/jazz grandiose, nelle quali una linea vocale growl girovaga a braccetto con l’arco che frusta le corde del violino elettrico suonato da Laura C. Bates. Melodie sublimi in un contesto lacerante con la bellissima opener “Inviolate Grove”. Domina un senso marziale su “Dead Moon”, totale libertà stilistica, libertinaggio compositivo, purezza artistica con l’immensa “Freyjan Death Cult”, brano ricco di teorie, di ambientazioni, di voci, di suoni… una teatralità degna di opere cinematografiche d’autore… prima della palpitante e rocambolesca conclusiva “Reverend Queen”. Fragili idoli che si esibiscono al di sopra di altari decadenti. Un culto religioso professato da sacerdoti malati, deviati, capaci solo di accompagnare il mondo verso un livello più vicino a inferi irreversibili. Il tutto espresso con musica tradizionale, musica moderna, musica senza tempo, musica trasversale ed una capacità compositiva al di sopra di ogni genere, standard e prevedibilità musicale!

(Luca Zakk) Voto: 9,5/10