(Autoproduzione/ Blood Fire Death) Prima di cominciare questa recensione, ritengo opportuno precisare una cosa: considero gli At The Gates una band alquanto sopravvalutata, anche se questa mia considerazione risulterà alquanto impopolare. Lungi da me negare l’importanza e l’influenza che la band svedese ha avuto nei confronti di un’intera scena musicale, tolti un paio di pezzi davvero epocali (considero “Blinded By Fear” una delle canzoni più belle di tutti i tempi) trovo gran parte del loro materiale ripetitivo, pieno di ottimi riff ma con ben poche canzoni in grado di stamparsi in testa. Devo comunque ammettere che la formazione svedese ha creato un sound proprio, altamente riconoscibile al punto che qualsiasi band produca qualcosa ispirata a quelle sonorità, rischia di essere considerata un clone. Un po’ come è successo a “Hail To The King” degli Avenged Sevenfold, talmente ispirato al “Black Album” dei Metallica da sfiorarne in più punti il plagio. Dopo questa ampia premessa, come posso giudicare i catalani Vrademarg, visto che per stessa ammissione della band si rifanno pesantemente a quanto proposto dagli At The Gates? C’è da dire innanzitutto che la formazione spagnola ci sa fare decisamente, sia dal punto di vista tecnico che da quello dell’inventiva, pescando quanto di meglio la scena melodic death metal abbia proposto negli anni. Ne è un esempio la title track dal riffing serrato che in qualche modo mi ha riportato alla mente i Dark Tranquillity di “Skydancer”, mentre tra i brani fa capolino qua e là qualche armonizzazione maideniana, riconducibile ai Carcass di “Heartwork”. Un album che mette in luce la passione e la perizia tecnica di una band in cerca di un sound più personale.

(Matteo Piotto) Voto: 6,5/10