WHITECHAPEL – “Kin”

(Metal Blade Records) Forse tra gli album più attesi tra quelli previsti in uscita nel 2021 questo dei Whitechapel. Band sulla scena statunitense prima e mondiale poi da una quindicina d’anni. Una reputazione cresciuta nel tempo per i lavori in studio e progredita attraverso le dirompenti prestazioni dal vivo. I Whitechapel sono una band solida che si è evoluta smaltando e solidificando il proprio sound , oggi ormai più lontano dal deathcore classico o dal metalcore d’ordinanza. “Kin” appare stupefacente per i numerosi tagli atmosferici sparsi nei pezzi. Momenti nei quali la solidità o la velocità vengono meno e a favore di passaggi calmi, con chitarre modulate, voci pulite. “Lost Boy” è una canzone che manifesta egregiamente questo dualismo di stile, oltre a porre in evidenza l’arrangiamento deciso, concreto quanto in certa misura raffinato. La bravura della band del Tennessee nello strutturare i pezzi, marcando sia in fatto di velocità che di potenza e impatto, si rimanifesta anche in “Kin”. Ottimo il lavoro di Alex Rüdinger che ben rimpiazza l’ottimo Ben Harclerode. Lui si mostra puntuale nelle sue evoluzioni che accrescono il valore dell’arrangiamento. Eppure le chitarre sorprendono… C’è una maggiore ricerca, pur non sempre legata a esecuzioni perfette ma sono aspetti secondari. C’è un diverso uso delle distorsioni, l’aggiunta di assoli, fraseggi che aumentano quel lato d’atmosfera, di calma e intimismo, come l’incipit di “Anticure”. L’impressione è che la band tenderà sempre più a snaturare il proprio sound iniziale, quello per il quale è nota e, chissà, andrà a deviare verso sonorità meno toste. Magari non sarà così, però questo giocare con luci soffuse in certi momenti dei brani è qualcosa che lascia intravedere una concezione musicale ben diversa da parte dei Whitechapel. Il brano “Orphan” potrebbe essere proprio un’anticipazione del loro futuro sound: chitarre leggiadre, cantato pulito e addolcito, assolo melodico, andature lente eppure decise. Niente deathcore, niente metalcore.