(Season of Mist: Underground Activists ) È il terzo album degli ucraini Windswept; certo, non è un moniker così noto, ma i membri della band sono attivi in una miriade di altri progetti… i Precambrian, i Rattenfänger, militavano tutti nei Blood of Kingu, ma – informazione principale – stiamo parlando degli stessi artisti che compongono i Drudkh, una realtà che in poco più di vent’anni ha già pubblicato ben tredici dischi (senza contare EP e split), l’ultimo dei quali, “Shadow Play”, è uscito quest’anno. Se la band principale offre un black più ricercato e, diciamo, atmosferico, con i Windswept i musicisti si lasciano andare a qualcosa di più istintivo, più viscerale, più diretto e senza filtri, anche se i contenuti storici sono il risultato di una ricerca meticolosa e per nulla lasciata al caso o a un capriccio del momento. Ispirato a vicende relative al castello di Kremenets (nell’ovest dell’Ucraina) tra il 1747 e il 1777, in particolare a una caccia alle streghe che si svolse tra il 1753 e il 1754, con accuse, processi, confessioni e, naturalmente, truci esecuzioni, il disco è un’espressione di black molto tagliente e rabbioso, il tutto aggravato da linee vocali perverse; ma questa violenza gratuita e apparentemente grezza è in verità costellata di dettagli di alto livello: groove di basso incredibili, chitarre che, dentro il turbinio di ritmiche selvagge e di tremoli isterici, riescono a scolpire ricerche melodiche irresistibili e, non da meno, dei micidiali breakdown capaci di frantumare anche le vertebre più robuste e allenate. Un esempio chiaro è la dirompente “Investigation”, brano con un mid tempo pulsante, accelerazioni penetranti, ritmiche avvolgenti e – a metà brano – quel breakdown lento, molto semplice, tuttavia maestoso! Anche “The Potion” regala sorprese: un black veloce, tirato, sfacciato, con melodie che si insinuano progressivamente fino a un cambio a favore di un mid tempo cadenzato e sferzato da un riff di chitarra ossessivo semplicemente superlativo. I rallentamenti sono molto marziali in “Nest of the Witches”, mentre la conclusiva “Verdicts” riesce a essere sia disperata che malinconica, nel suo scorrere verso un epilogo che odora di morte, di decapitazione, di smembramento e di carne arsa. Con un moniker oppure con un altro, il trio formato da K (Krechet), V (Vladislav Petrov) e il mastermind R (Roman Sayenko) è ormai una garanzia di alta qualità per quanto riguarda il black dell’Est europeo e quest’ultimo nato rappresenta forse una delle migliori opere che sono riusciti a comporre, per la qualità, per la ricchezza di contenuti, per la registrazione, per l’esecuzione e per una generale, brillante vena creativa.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10