(Ukem Records) All’isola di Albione dobbiamo la nascita dei Wolfbastard, band di Manchester che con “Graveyard Sessions” arriva alla seconda prova di studio dopo il debutto omonimo del 2015. La formazione inglese propone un mix ben riuscito tra crust/punk e black metal, ispirato certamente ai primi Impaled Nazarene come anche ai Carpathian Forest nella loro accezione più black’n’roll. La miscela è poi condita con una buona dose di autoironia che, a partire dalla copertina dell’album, rende la proposta tanto genuina quanto intrigante. I Wolfbastard non sono infatti una band che vuole prendersi sul serio ed i testi delle canzoni sono un’ulteriore conferma in questo senso. Titoli come “Goat Orgy” o “Whiskey Militia”, giusto per citarne un paio, ne sono un emblematico esempio. I tredici brani che compongono l’album sono tutti caratterizzati da un minutaggio limitato, fattore che permette ai singoli pezzi di risultare diretti e coinvolgenti come il genere richiede. L’iniziale “Drink Fucking Beer, Hail Fucking Satan” mette subito in chiaro di che pasta siano fatti i nostri; la struttura black metal viene arricchita da riff di chiara derivazione crust/punk che rendono il tutto estremamente catchy, in relazione al genere proposto ovviamente. La voce sporca e ruvida, unita ad una sezione ritmica costantemente a cavallo tra blast beat e sonorità D-beat alla Discharge, contribuiscono a rendere il tutto ancor più esplosivo. La formula è poi riproposta, con sconfinamenti più o meno evidenti nel death metal, in tutti i successivi capitoli dell’album. La cosa che stupisce in positivo è però come ogni singolo brano abbia un suo motivo d’essere, risultando interessante ora per un riff particolarmente riuscito, ora per una sfuriata frutto di puro odio tramutato in musica. Un lavoro, questo “Graveyard Sessions”, che non mancherà di trovare estimatori tra i fan delle sonorità alla Impaled Nazarene, come si diceva ad inizio recensione. La sede nella quale, a mio giudizio, la proposta dei Wolfbastard potrà esprimere il meglio di sé è però sui palchi dal vivo. La dimensione live infatti sono certo permetterà alla band inglese di metter ancor più in mostra le qualità di un lavoro sanguigno ed onesto, come non avevo modo di sentire da un po’ di tempo a questa parte.

(Davide Galli) Voto: 7/10