
(Gymnocal Industries) One-man band. Islanda. Black metal. È il terzo album in oltre un decennio di esistenza, un disco che rompe un silenzio che già durava da cinque anni. Suoni tetri, glaciali, in contrapposizione con un titolo che significa “il segno del sole”, con tutto il suo portato spirituale e rituale. Un sole antico, che ha illuminato e visto tutta la nostra storia, dalla grandezza dell’antichità al decadimento culturale contemporaneo. Ma con questo album Zakaz vuole intensificare i raggi solari, quasi fosse una metaforica lente d’ingrandimento che dà fuoco al nostro collasso psico-spirituale, lasciando spazio ad antiche verità finora sepolte dalla fuliggine della mediocrità nevrotica moderna. Riff impetuosi, mai estremi, sempre cadenzati e a tratti di matrice doom. Anche le linee vocali non puntano a estremi troppo violenti; piuttosto cercano una pesantezza minacciosa, concedendosi anche divagazioni clean molto suggestive. Con “Merki Sólar” l’artista non si limita a presentarsi come progetto musicale con lo scopo di creare canzoni, ma diventa il condotto di una ciclicità arcaica, un richiamo a segni rimasti sepolti tra densi strati di civiltà che hanno occupato le terre emerse nel corso delle ere. Non brani in senso moderno, ma atti rituali strappati alla soglia dove un’intuizione proto-norrena si intreccia con una conoscenza che precede di molto le parole, la scrittura, il linguaggio stesso. Zakaz però non riesuma il passato: lo riattiva. Non come semplice rievocazione folkloristica, ma come corrente vivente, entità pulsante, ancestrale stimolazione psichica di un linguaggio semisepolto nel più profondo subconscio culturale: la maestosità dell’antichità non torna… semplicemente non se n’è mai andata.
(Luca Zakk) Voto: 8/10




