Nuovo lavoro per Arctic Plateau, “The Enemy Inside”, ottimo esempio di indie rock dai connotati intimisti e riflessivi ma immediati. Arctic Plateau è in realtà un progetto del chitarrista e cantante Gianluca Divirgilio, musicista attento al proprio sound che ci espone nel concreto in questa interessante intervista.

Le note informative che accompagnano il tuo album dicono che questo tuo secondo lavoro è “più realistico del precedente”. Potresti tracciare un profilo di queste differenze?
Ciao e grazie dello spazio innanzitutto. In “The Enemy Inside” si trattano temi come l’abuso e la violenza, la perdita dell’innocenza, l’educazione fondata sulla repressione già in tenera età, l’isolamento sociale. La mente chiusa e ristretta genera nevrosi, lo stesso tipo di nevrosi che questa stessa società nevrotica si trova ad affrontare, in questo tristissimo periodo storico. Basta avere un cervello ed aprire il giornale o il web e leggere quel che accade in Italia; serve conoscere se stessi per capire gli altri, altrimenti si diventa acerrimi nemici di se stessi. Non è fuori che accadono le cose, ma nel cuore di ognuno di noi.

“The Enemy Inside” mi ha subito catturato. All’inizio pensavo per il bel clima soave, ma in realtà dentro porta qualcosa di superiore: è un album dove si sente il tocco, la mano, di un autore e chitarrista. Insomma ha un marchio di fabbrica, ogni brano porta dentro il tuo stile chitarristico. Secondo me questo aspetto non è un qualcosa che hanno tutti, in questo genere.
Non posso che fare tesoro di quel che dici e ringraziarti; in effetti non sono poche le conferme che ho ricevuto riguardo la riconoscibilità sul “marchio di fabbrica” di Arctic Plateau e considero questa osservazione utile come spunto di riflessione anche per il futuro. In effetti tutti gli autori e compositori che amo maggiormente hanno un tratto distintivo riconoscibile; la personalità è un modo di lasciare il segno del nostro tempo anche nelle cose più piccole di tutti i giorni, se poi riesci a farlo anche nella musica sei fortunato.

Io ho mosso una sola vera critica all’album, anzi era una provocazione. La tua voce va bene, ma hai fatto un guaio a chiedere Carmelo Orlando (dei Novembre, nda) di cantare nel brano che da il titolo all’album! Il suo timbro, il suo stile è qualcosa di superiore e secondo em marca una differenza. Però questo non vuol dire che la tua voce sia scadente. Mi sono spiegato?
Accolgo favorevolmente la “provocazione” e la rilancio dicendoti che l’intervento di Carmelo Orlando non voleva certo essere un sistema di raffronto delle doti canore dell’uno o dell’altro, ma piuttosto una specie di omaggio o se vuoi un tributo al suono di una voce che io stesso definisco intoccabile e rappresentativo per il sottoscritto. Ho voluto io stesso Carmelo alla voce e l’ho voluto come special guest perché il suo stile era perfetto per rappresentare il nemico interiore. Molti definiscono l’intervento troppo breve, ma in realtà non poteva essere altrimenti perché l’ultima parte della title track è la parte che rappresenta la voce del nemico interiore stesso. Carmelo Orlando ha interpretato in maniera sublime ogni verso. Il primo album dei Novembre “Wish I Could Dream It Again” per me rappresenta un capolavoro assoluto ancora oggi, tanto che ne conservo gelosamente una delle prime copie. Di quella registrazione  amo  tutti i piccoli errori e lo preferisco addirittura a “Dream’s D’Azur” per questo personale motivo affettivo. Comprai quel disco a 20 anni ed oggi ne ho 39, ho vissuto quegli ascolti e li ho sublimati nelle mie esperienze, o se vuoi ho sublimato da ascoltatore le mie stesse esperienze. Sono stato e sono io stesso un grandissimo fan dei Novembre.

Ma tu che tipo di chitarra usi e quanto conta per te l’effettistica, ne usi una di base e parametri standard o manovri continuamente manopole, tasti e tutto l’insieme?
Il discorso è articolato: utilizzo varie chitarre, tra cui una Fender Stratocaster Custom Shop del 66, una Les Paul Standard ed una Telecaster con i p90. Amo il suono del single coil per le mie cose ed il mio strumento principale in effetti è questa Stratocaster dal suono medioso al manico e scavato in posizione centrale e ponte, ma utilizzo a volte anche il Les Paul per quei suoni più carichi di overdrive (non uso mai distorsori). L’effettistica è importante, certo; utilizzo uno Strymon che simula un tape echo mentre non utilizzo mai effetti di modulazione. Per il suono di AP utilizzo un ampli Fender Vibrolux o un qualsiasi Fender anche di stampo blackface o hot road all’occorrenza; utilizzo raramente anche un vecchio Mesa studio Preamp+finale e cassa. Stomp boxes costruiti su mia richiesta da Madhatter e compressori a pedale Costalab. Ho un ottimo rapporto con tasti, manopole, pot e via dicendo e sono a favore dei preset digitali soprattutto del pod x3 che utilizzo con soddisfazione nelle mie pre produzioni e come preamp accoppiato ad un finale se la situazione richiede un emergenza improvvisa o maggiore praticità.

La copertina dell’album è concettualmente interessante, ben sposata al suo titolo. Ma di cosa canti, non avevo i testi durante l’ascolto, dimmi cosa c’è di base a queste parole di “The Enemy Inside”.
Si tratta di un concept basato sullo scorrere del tempo; la riflessione di un uomo adulto al cospetto dei suoi limiti. Una riflessione sull’incapacità di valorizzare le proprie radici in un’epoca in cui tutto è troppo veloce, in un’epoca in cui anche i rapporti umani rischiano di cadere nella trappola del consumo sfrenato e a tutti i costi. In “Big Fake Brother” parlo di tutte quelle persone amiche o presunte tali che ti chiamano superficialmente “fratello” ed ironizzo sul termine citando la spettacolarità che si fa oggi in tv dell’ uso legato al suddetto termine.

Ho visto un tuo filmato in cui giochi con l’assolo di “Another Brick in the Wall part 2”. Ora io non sono un esperto, ma a sentire certe tue cose, il tuo sound personale mi sembra che quel pezzo non è stato scelto a caso. E’ così?
Se ti riferisci specificatamente alla cover posso dirti che è una specie di scherzo giocoso che ho pubblicato su youtube la sera prima dell’uscita di “The Enemy Inside”; è il primo assolo che ho ascoltato nella mia vita e a cui ho dedicato una certa attenzione quando ero molto giovane. Chiaramente alcuni album dei Pink floyd sono stati molto importanti per me e conosco molto bene quel tipo di suono, ma quella ripresa era volutamente priva di un reale senso riconducibile ad Arctic Plateau, buona la prima, la tengo e la pubblico, stop. Molte persone mi scrivono chiedendomi esplicitamente di pubblicare maggiore materiale video e vista anche la mia recente attività didattica, non posso che accogliere tali richieste con entusiasmo, regalando a chi crede in me qualcosa di bizzarro e divertente come una cover o magari qualche consiglio tecnico che potrebbe rivelarsi utile a qualcuno.

L’album è sul mercato e, ora come Arctic Plateau cosa ti resta da fare?
Cercare di suonare live è un aspetto che mi interessa maggiormente che nel passato in Arctic Plateau. Sto lavorando per questo e spero di riuscire nell’intento anche grazie ai musicisti che ho al mio fianco in questo momento, ma suonare in Italia è una cosa realmente complessa e delicata, in particolar modo ora. Paradossalmente per un Italiano che produce un certo tipo di musica che non sia quella del veloce consumo, uscire fuori dai confini Nazionali è decisamente più agevole per certi versi, ma io stesso vorrei realmente che il nostro paese superasse l’idea degli schemi provinciali Europei in cui è stato identificato. Sono certo che ne trarrebbe giovamento anche chi come noi in Italia cerca di esercitare un mestiere che troppo spesso viene subordinato da una certa esterofilia e altrettanto troppo spesso viene relegato, ingiustamente in alcuni casi, a poco più che un hobby. Il musicista in Italia sembra non essere un mestiere ed è poco contemplato come tale. C’è bisogno di un aggiornamento e di rinnovamento; due parole che non sembrano “suonare” affatto. Il percorso Indie è differente e porta reali riscontri di pubblico in Italia, ma a mio modo di vedere le cose, anch’esso si nutre della velocità tipica dei tempi e trova maggiori difficoltà di riscontro dentro un contesto intimista come quello che può essere Arctic Plateau.

Ti ringrazio ancora per l’intervista e ti auguro un riscontro sempre maggiore per “The Enemy Inside”.
Grazie a te dello spazio ed un saluto a tutti i Metalhead!

Alberto Vitale

recensione: https://www.metalhead.it/?p=3938